Crivella Giuseppe
Si inizia con un'irruzione. Anzi, con una doppia irruzione: quella della tragedia nella vita della quasi maggiorenne India Stoker – la quale, il giorno del suo diciottesimo compleanno, apprende della morte improvvisa del padre Richard in un incidente avvenuto quella stessa mattina – e quella della figura conturbante e enigmatica dello zio Charlie – fratello più giovane del defunto padre – nella grande ed isolata casa di famiglia.
Si inizia con un'irruzione. Anzi, con una doppia irruzione: quella della tragedia nella vita della quasi maggiorenne India Stoker – la quale, il giorno del suo diciottesimo compleanno, apprende della morte improvvisa del padre Richard in un incidente avvenuto quella stessa mattina – e quella della figura conturbante e enigmatica dello zio Charlie – fratello più giovane del defunto padre – nella grande ed isolata casa di famiglia.
Da subito lo spazio
psichico ed esistenziale [1] della ragazza subisce un violentissimo
contraccolpo, si lacera sfaldandosi in una tumultuosa congerie di
memorie e pulsioni, nel cui disordinato estrinsecarsi India Stoker
riuscirà a pervenire alla propria nuove identità di donna. In
primis è infatti il suo corpo che cambia radicalmente, non tanto
nella fisionomia, quanto piuttosto nella sete insaziabile di
esperienze ormai prive di ogni controllo morale, caricandosi di una
ricettività inquieta e profonda, in grado cioè di impregnarsi degli
umori più violenti con una delicatezza sempre soffusa d'una
selvaggia innocenza, d'uno oscuro candore virginale e vorace,
nell'alveo del quale la dimensione prettamente fanciullesca matura
con una forza d'affermazione dapprima scomposta e incontrollata, poi
lucida e inarrestabile. Ma a mutare nel film non è solo India.
Mutano perversamente anche gli spazi in cui questa si trova a
muoversi e ad agire. Vi è infatti soprattutto un elemento che in
Stoker sotterraneamente pulsa assecondando le regole di un
gioco lugubre: un articolatissimo e cerebrale lavorio di
orchestrazione dei controcampi nella strutturazione delle varie
riprese. In forza di questo stesso lavorio la scena stessa diventa un
quarto personaggio, una figura latente e mostruosa, che scivola al di
sotto delle immagini risucchiandole dall'interno.
Si prenda a titolo
d'esempio l'emblematico colloquio a tre che impegna India, Charlie e
Evelyn in cucina durante il primo quarto d'ora del film. Le tre
figure si trovano nella paradossale situazione di occupare porzioni
di spazio completamente difformi seppur all'interno di un unico
ambiente presuntivamente omogeneo e coerente. Park Chan-wook,
segmentando in modo minuto e nervoso i passaggi di camera sulla base
del ritmato scambio di battute, opta per una disarticolazione
insistita di quello stesso spazio comune in cui i personaggi
agiscono, alternando primi piani isolati (e isolanti) di India e
Charlie a piani americani in cui di volta in volta una coppia viene
contrapposta al terzo, devastando in tal modo non solo la continuità
dei luoghi ma gli stessi rapporti che le tre figure intrattengono ad
ogni battuta. Siamo di fronte ad una sequenza franta, ottenuta per
anacoluti di montaggio,
grazie ai quali i vari ambiti in cui i personaggi transitano si
dispongono come satelliti reciprocamente repulsivi all'interno di un
labirinto mentale, che però non conduce allo smarrimento, ma
piuttosto all'incontro di sguardi, parole e vissuti in un punto di
confluenza tanto preciso quanto elusivo e beffardo.
La camera salta da un
interlocutore a un altro facendo variare gli angoli di ripresa sempre
sulla recisa esclusione di uno dei tre, a sottolineare in tal modo
non tanto la espulsione esplicita di questo dal dialogo in corso,
quanto la sua perversa funzione di fattore latente e deformante in
seno ai rapporti che si instaurano tra gli altri due attori. La
rotazione della camera qui non serve assolutamente a legare e a
compattare i plessi della conversazione; essa spezza la
comunicazione, la altera ponendo al di fuori della linea dialogica
dei due parlanti un fosco polo di attrazione, che tramuta il discorso
in un ramificato e complesso gioco di allusioni, ammiccamenti,
sottintesi. Tuttavia, oltre a tale impervia e sillettica
“sostruzione” di spazi orizzontali, gli ambienti della casa si
dispongono anche secondo un'altra dimensione, cioè quella
propriamente verticale, ricalcando in tale disposizione le polarità
nette e contraddittorie dell'apparato psichico freudiano. Nello
stabilire tale equivalenza non crediamo affatto di forzare
l'interpretazione, tanto più che in tale lettura non facciamo altro
che seguire l'esempio di Slavoj
Žižek [2], il quale ha proposto qualcosa di molto simile per Psycho
di Hitchcock, regista molto amato anche da Park Chan-wook.
Andando
nello specifico, in cosa si sostanzia tale equivalenza? Da una parte
nel far corrispondere alla posizione ipogea della cantina l'es
di India, spazio isolato dall'esterno e profondo, remotissimo luogo
di solitudine e incomunicabilità, ove la fanciulla si ritira quasi
regredendo a stadi primigeni della sua formazione; dall'altra nel far
valere la camera di Charlie quale polo delle istanze del Super-io:
spazio di ordine e controllo, luogo di una visione superiore e
distaccata, apparentemente intangibile da parte delle scatenate forze
irrazionali di cui India sembra essere portatrice muta e letale. Ma
qualcosa non torna. Già come in Thirst
(2009), Park Chan-wook mostra tutta la sua maestria nel confondere le
idee, arrivando in questo caso ad invertire i valori topologici
sovvertendo le corrispondenze a quattro termini così da far
risultare la camera stessa di Charlie sprofondata in una dimensione
“catabatica” – è in essa infatti che India trova la scatola di
scarpe, regredendo in tal modo alle fasi della propria infanzia –
ed è di contro in cantina che la ragazza intuisce con lucidità il
sordido gioco erotico tra Charlie ed Evelyn, maturando la ferma
decisione di chiamarsi fuori da quelle oscene dinamiche. Sottoposto
ad una serie così pressante di interruzioni e frazionamenti,
ricongiunzioni paradossali e imprecise, coordinazioni forzose e
alienanti, lo spazio è qui una componente arditamente metamorfica [3],
emblema e riflesso dei mobilissimi vincoli che legano i personaggi in
un poligono in perpetua via di definizione. A cosa è dovuta allora
tale predisposizione al mutamento di spazio e rapporti? Al fatto che
questi orbitano spasmodicamente e inflessibilmente intorno
all'elisione improvvisa di ciò che da sempre ne era stato l'elemento
aggregante, cioè Richard. La sua scomparsa fa in modo che una
fluttuazione pervasiva e ossessionante venga a colpire oggetti e
persone: i doni – disposti a mo' di recinto a racchiudere il corpo
di India in una delle scene iniziali – si agitano con inquietudine;
le lettere ora subiscono una pesante deformazione sull'impeto dei
ricordi di infanzia, ora suggeriscono una versione terribilmente
altra del passato.
Ma
è proprio nella lacuna lasciata da Richard che viene a situarsi
Charlie, presenza densamente ambigua: simultaneamente egli
rappresenta una deviante sostituzione simbolica [4] del fratello –
attorno a cui India lascia scivolare tutte le proprie torbide spire
di un desiderio dettato da un flagrante complesso si Elettra – e un
doppio deforme della ragazza stessa, specchio fosco e tenebroso in
fondo al quale urlano tutte le pulsioni di morte che lei a stento
trattiene in sé. Figura anfibia e insidiosa, su Charlie si stringono
quindi tutti i nodi di angoscia e liberazione che dall'es
al Super-io si
muovono dilaniando la coscienza di India. Figura ellittica, a due
fuochi: succedaneo di Richard, Charlie ne è il rovesciamento in
quanto occupa il suo posto ma non è garante di ordine, piuttosto è
polo di un furioso estrinsecarsi del rimosso; ma al tempo stesso
nello zio India finisce anche col riconoscere una parte di sé,
rischiando così di fondersi con esso in una simbiosi ferale e
spietata, espressione di un delirio concentrico capace di lasciare
dietro di sé solo una lunga scia di morte.
Sovradeterminato
nella sua mossa e molteplice identità, Charlie non può non essere
destinato a morire e a morire per mano di India. Si tratta di una
morte triplice: catartica, perché libera la ragazza dal rapporto
velatamente incestuoso; simbolica, perché permette ad India di
riportare ordine dentro di sé, mettendo a tacere le pulsioni più
(auto)distruttive; compensatoria e autoassolutoria, perché vendica
l'uccisione del padre da parte di Charlie e smarca la ragazza da ogni
compromissione con tutte le uccisioni che l'arrivo dello zio ha
comportato. Egli è propriamente ciò che viene al posto di ciò che
non ha nome [5], punto cieco di una coscienza in fieri che scopre nel suo
processo di assestamento e riformulazione sacche di imperscrutabile
violenza, anfratti e doppi fondi, ove si cela qualcosa d'oscuro e
fatale che chiede di essere liberato, espresso, in qualche modo anche
disinnescato, concedendogli spazio. Questo spazio di manifestazione e
dissipazione è proprio quello della casa: frantumato, incongruo,
schizoide [6], esso è parallelo a quello psichico di India, disintegrato
ma catalizzato da un graduale riassestamento. Non sarà un caso
allora che la serrata dialettica di fantasmi di cui essa era divenuta
teatro arriva a soluzione mediante un definitivo gesto di
allontanamento, il quale le permette di riappropriarsi della sua
vita, non senza prima aver eliminato anche l'ultimo residuo di
quell'ordine prettamente formale ed estrinseco che la teneva ancora
legata a quei luoghi.
Note
1. Per la dissociazione (e la relativa saldatura) tra i due tipi di spazio cfr J. Lacan, Écrits, Seuil, Paris, 1966.
2. Cfr S. Žižek, Pervert's guide to cinema, 2006, directed by S. Finnies.
3. J-L Schefer, Figures peintes, POL, Paris, 1999, soprattutto pp. 103-111 e 177-207.
4. Qui naturalmente non in accezione freudiana. La sostituzione simbolica ha qui una natura perversamente ambigua, anfibia, non colma un desiderio in un modo allucinatorio - come dovrebbe essere secondo l'ortodossia freudiana - ma lo chiama in causa per farlo emergere al fine di liberarsene definitivamente.
5. J. Lacan, Op cit, pp. 97-126.
6. Lettura chiaramente disforica dell'accezione di spazio che G. Bachelard dà in La poétique de l'espace, PUF, Paris, 1994.
Note
1. Per la dissociazione (e la relativa saldatura) tra i due tipi di spazio cfr J. Lacan, Écrits, Seuil, Paris, 1966.
2. Cfr S. Žižek, Pervert's guide to cinema, 2006, directed by S. Finnies.
3. J-L Schefer, Figures peintes, POL, Paris, 1999, soprattutto pp. 103-111 e 177-207.
4. Qui naturalmente non in accezione freudiana. La sostituzione simbolica ha qui una natura perversamente ambigua, anfibia, non colma un desiderio in un modo allucinatorio - come dovrebbe essere secondo l'ortodossia freudiana - ma lo chiama in causa per farlo emergere al fine di liberarsene definitivamente.
5. J. Lacan, Op cit, pp. 97-126.
6. Lettura chiaramente disforica dell'accezione di spazio che G. Bachelard dà in La poétique de l'espace, PUF, Paris, 1994.