Troisième cahier de la deuxième série |
Péguy è un autore "maledetto": ma è una maledizione estremamente
paradossale. È uno degli autori più celebri della letteratura francese:
nessuno ignora il suo nome eppure nessuno lo legge. È un nome vuoto, è
una specie di illusione, un insieme di cliché biografici: questo è
Péguy. Si sa che è morto sul campo con onore: ciò che per tanti anni è
stata un'immagine di sfida, è poi divenuta un'immagine ridicola perché è
diventato ridicolo morire sul campo con onore. Sono noti anche alcuni
elementi biografici che aiutano a conoscere Péguy; ma, per quanto
riguarda la sua opera, c'è un triplo discredito che ne impedisce al
giorno d'oggi la lettura.
Péguy non viene letto, Péguy non viene
studiato, perché viene considerato come un giornalista, come uno
stilista e come un fascista. Prima di tutto, Péguy viene percepito come
un giornalista. Péguy, al tempo dall'Affaire Dreyfus, sogna un vero
giornale, un giornale dove, dice, si scriva stupidamente la verità
stupida, si dica noiosamente la verità noiosa, si dica tristemente la
verità triste. Questo sogno nasce nel momento in cui Péguy vede la
verità manipolata dallo Stato, nel momento in cui vede il partito
socialista nascente cercare di strumentalizzare la verità. Da una parte
la raison d'état, la ragion di stato, dall'altra la ragione del
partito. Per sfuggire a quest'alternativa, fonda i Cahiers de la
quinzaine , che significa "quaderno quindicinale": un'esperienza
intellettuale unica. Ogni quindici giorni comparivano come dei piccoli
libri, dei lunghi articoli, di cui Péguy era al tempo stesso l'editore,
il redattore, nonché l'autore di alcuni articoli.
Seconda
qualificazione che scoraggia alla lettura: si dice di Péguy «è uno
stilista, è un maestro di stile »; in altre parole, si privilegia in
lui la forma, e a questo titolo lo si fa finire nella letteratura. E si
dimentica così il carattere proprio della sua opera: di essere — tutta
insieme ed indissolubilmente — filosofica e letteraria. I filosofi sono
dei letterati, e i letterati non sanno analizzare che la forma.
Terza qualificazione, la calunnia più grave: si dice di Péguy che sia
il fondatore del nazionalsocialismo alla francese; in altri termini,
si permette l'appropriazione di Péguy da parte di Petain. Vichy si è
appropriata di Péguy: invece di protestare contro questa appropriazione
indebita, la si accetta e la si legittima. Io credo che sia urgente far
uscire Péguy dal posto dove è stato relegato, che sia urgente
reinserirlo nella cultura viva, e cercherò di chiarire perché.
Cominciamo con una citazione di Péguy che illustra il fenomeno
dell'incontro, il momento privilegiato in cui il libro trasmigra in
un'altra vita e scrive dei frammenti della nostra quotidianità. Il
brano si trova alla fine di un testo che si chiama Les suppliants
parallèles . «Alcuni ci dicono invano che il greco si sia rifugiato in
un mondo superiore, che il greco resti tutto intero in qualche
cattedra, in qualche biblioteca: è questa la più grande stupidità che
si sia detta nei tempi moderni, in cui pure non si è certo rinunciato a
dire delle stupidaggini. È come se si dicesse che gli antichi Egizi
vivono e rivivono nelle mummie dei sarcofagi delle sale, ai piani
inferiori del Louvre. In realtà vi è un abisso per una cultura, per una
storia, per una vita passata nella storia dell'umanità, per un'umanità
in ultima istanza, tra il figurare il suo rango lineare nella memoria,
nell'insegnamento di qualche sapiente e nei cataloghi di qualche
biblioteca, e l'incarnarsi, invece, tramite degli studi secondari,
tramite delle umanità e degli studi umanistici, in tutto il corpo
pensante e vivente, in tutto il corpo che sente di tutto un popolo, in
tutto il corpo degli artisti, dei filosofi, dei poeti, degli scrittori,
dei sapienti, degli uomini d'azione, di tutti gli uomini colti, dei
critici perfino e degli storici, di tutti gli uomini di gusto, di tutti
gli uomini di senso, di tutti gli uomini di integrità e di fecondità;
di tutti questi uomini, in poche pascaffali role, che formavano un
popolo colto nel popolo, in un popolo più vasto. Sono due esistenze
che non appartengono allo stesso ordine: l'esistenza nel corpo dei
produttori di tutto un popolo è un'esistenza di vita, l'esistenza
sugli di qualche biblioteca è un'esistenza di morte».
Mi pare di
leggere in questo testo una risposta molto attuale del nostro tempo:
quello che ci minaccia non è
Un ritratto di Charles Péguy |
Al
tempo stesso, così parlando, Péguy appare come qualcuno che ha ereditato
il Rinascimento, come un umanista nel senso che il Rinascimento donava
a questo termine. Come scriveva Eugenio Garin, la prima idea
rivoluzionaria del Rinascimento è che l'educazione sia un mezzo per
l'uomo di accedere alla sua umanità. In altre parole, il Rinascimento
conferisce alla grande idea, che ha fatto l'Europa, della cura
dell'animo una definizione umana e nient'altro che umana. Quando ci si
occu- pava della cura dell'anima era in una prospettiva metafisica, di
elezione, al di fuori del mondo; la cura dell'anima ridefinita dal
Rinascimento è, invece, la cura di se stessi nel mondo e per il mondo.
Seconda idea rivoluzionaria che il Rinascimento ci ha lasciato, dice
Garin, l'uomo non accede alla sua umanità se non tramite il passaggio
attraverso le opere della cultura, se non tramite la conversazione,
che costituisce la lettura delle opere ammirevoli. E, terza idea,
l'umanità è appannaggio di tutti gli uomini: dunque è necessario che
tutti gli uomini si spingano verso questa esperienza. Péguy eredita
questa terza idea: per definirlo, direi che si tratta di un umanista
sperduto nel modo moderno, perché Péguy è moderno. Si è concluso,
invece, che è stato un nostalgico della tradizione. Péguy è
l'Umanesimo, nel senso che il Rinascimento ha dato a questa parola; è
contro l'Umanesimo moderno, se si riprende la definizione che
Heidegger ha dato alla parola Umanesimo: cioè, l'uomo considerato come
padrone e sovrano della natura e della storia. Péguy nasce alla
politica come socialista, e, molto rapidamente, si rende conto che il
suo socialismo non è lo stesso di quello degli altri.
Quello che
caratterizza il pensiero di Péguy, l'altra conseguenza della sua
visione dell'umanità come pluralità, è che lui è un pensatore
dell'evento: secondo Péguy, la storia è per definizione imprevedibile,
precisamente perché l'umanità è plurale, perché noi non siamo Dio. Non
c'è un punto di vista onnicomprensivo, onniinglobante che un uomo
possa raggiungere: gli eventi sono sempre eccedenti rispetto a ciò che
noi possiamo conoscerne. Noi non siamo, non possiamo essere padroni,
possessori della storia. Anche qui si distingue dai socialisti, che
vedono la storia, nel suo complesso, come qualcosa che li guarda
dall'alto che pensano di poter decidere chi sia superato, chi non sia
più di moda e chi, invece, abbia diritto all'esistenza. Péguy rientra
nel tempo come i moderni, ma rifiuta di fare del tempo il proprio nuovo
domicilio: il tempo è tempo, cioè il tempo è il rischio, è la
possibilità della morte: tutto ciò che è nato può morire e gli eventi
non sono prevedibili.
(Tratto da A. Finkielkraut, Charles Péguy. Non ti ho detto ancora tutto. A cura di Giampaolo Pignatari)
Per La Biblioteca di Morel articolo selezionato da M. G. Crivella.
Per La Biblioteca di Morel articolo selezionato da M. G. Crivella.