domenica 5 ottobre 2014

Le prospettive depravate di Maurits Cornelis Escher

Crivella Giuseppe

 
M. C. Escher, Mumified Frog
Dopo la mostra di Reggio Emilia conclusasi il 23 febbraio 2014 a Palazzo Magnani [1] apre dal 20 settembre al 22 febbraio 2015 presso il Chiostro del Bramante a Roma una nuova poderosa retrospettiva dedicata al grande incisore olandese, sapientemente curata da Marco Bussagli [2]. Sviluppandosi lungo un percorso di ben 150 opere, la mostra si propone di attraversare tutto l'arco creativo dell'artista, soffermandosi in particolar modo sulle molteplici e non sempre unitarie declinazioni che lo spazio escheriano ha conosciuto nel tempo. 
Ma innanzitutto che cos'è uno spazio escheriano? In primis una sorta inesauribile equazione grafica, i cui fattori sono una reiterata ripresa cum variatione di cellule operazionali dal risultato imponderabile.
In secondo luogo però uno spazio escheriano è anche l'impeccabile estrinsecazione di una geometria tutta immaginaria, una specie di dettagliatissima paralogia architettonica, che allestisce ambiti di spostamenti riservati unicamente al pensiero, forcludendo dunque ogni corporeità ed ogni concretezza fisica al di qua di una dimensione rappresentativa che solo una decantata cogitazione può frequentare in modo appropriato.
In terza battuta lo spazio escheriano è un purissimo teatro ottico: lo sguardo vi penetra dietro la spinta di una forsennata deambulazione fatta di infinite e puntuali ponderazioni algebriche, riuscendo così a percorrere l'incubo feroce di una razionalità felicemente disincagliata da ogni vincolo oggettuale. Infatti, se è vero ciò che dice Foucault della pittura del Novecento [3] – ovvero che essa si caratterizza per la sottrazione della rappresentazione dalla dittatura del verosimile – in Escher l'immagine non divorzia dalla ratio mimetica per via di deformazione – degenerando cioè, come per l'informale, verso un'esagitata eruzione di lacerti figurativi e spume cromatiche che estinguono ogni reliquia di riconoscibilità – ma piuttosto essa muove verso un tracciato asetticamente geometrico, fatto di simmetrie, le quali, nell'ordinare lo spazio di raffigurazione, scompaginano il rapporto tra sguardo e corpo, mente e sensi, dimensione fisica e istanza noetica. Pertanto mediante un ventaglio multiforme di rimandi e (pseudo)rispecchiamenti interni all'opera, l'occhio diventa un disincarnato terminale di ricettività poste in erratico galleggiamento all'interno della trasparente icasticità dell'insieme.
Escher al lavoro
Al tempo stesso però le sue costruzioni obbediscono a formulazioni compositive talmente ferree da risultare paralizzanti: le figurine anonime, senza volto e senza identità – simili a pure variabili computazionali – che gremiscono molte delle sue incisioni accennano sempre a movimenti senza seguito, azioni arenatesi in un'assenza di sviluppo, congelate da sempre in un gesto, il quale le condanna a sepolcrali immobilità perché non compiuto in ottemperanza piena alle leggi che presiedono a quella conformazione spaziale nella quale suddetto gesto viene tentato e che dunque, qualora dovesse avere seguito, manderebbe irreparabilmente in frantumi. Le incisioni escheriane a volte sembrano trappole kafkiane, altre volte universi strindberghiani dai quali non è possibile uscire – e in cui non si sa come vi si sia entrati – nonostante le numerose finestre spalancate su pareti divenute soffitti, lungo tetti che conducono alle cantine, al centro di pavimenti percorribili secondo il recto e il verso di una superficie senza profondità, e nonostante gli innumerevoli passaggi che inscatolano gli spazi gli uni dentro gli altri, sebbene tuttavia non sia mai perfettamente reperibile una via di transizione ortodossa tra di essi.
Nel loro duro e assoluto rigore formale le opere di Escher ricordano le liriche di Valéry: sono il portato di una minuta cristallografia di eventi tanto inafferrabili nel loro sottile prodursi, quanto ineludibili per il massiccio e duraturo riverberarsi dei loro effetti nel complesso dell'immagine, strutturata attraverso una squadrata dinamica endogena che assoggetta ad un incontenibile principio d'ordine non solo tutte le forme in gioco, ma anche tutte le forze che ancora pulsano in esse. I suoi spazi inoltre hanno la delicata filigrana di un labirinto borgesiano: completamente – diremmo cartesianamente – dispiegati dinanzi a noi, essi celano tuttavia dei riposti congegni di sviamento e stallo che si attivano non appena lo sguardo tenta di addentrarvisi. Un platonismo degli impossibilia è ciò che Escher sembra mettere in campo, riflettendo instancabilmente sulla instabile dialettica che lega e conchiude in un unico piano di emersione forma e sfondo, figura e luogo, superficie e linea. Si osservino le serie delle cosiddette divisioni regolari: qui il corpo dei vari animali rappresentati – animali solitamente scelti per la loro guizzante sinuosità – d'improvviso si geometrizzano, ipostatizzandosi in una sorta di compatto seppur mobile ideogramma ripetuto innumerevoli volte, variato secondo posizione, dimensione, orientamento spaziale, fino a riempire tutta l'incisione.
M. C. Escher, Concavo e convesso
Eppure, nonostante la araldica fissità della figura, alternanze ed incastri si giustappongono secondo un ritmo così serrato e continuo da dinamizzare senza requie l'immagine. Lucertole, pesci, cavalieri, cigni si caricano di una animazione inquieta ma regolatissima; il movimento diventa tanto più marcato e tenace, quanto più l'occhio vacilla nel saltare da un profilo all'altro, senza riuscire a stabilire quale occupi lo sfondo e quale il primo piano. In sostanza è come se Escher sia riuscito ad inventare una sorta di cinema ottenuto per via d'omeostasi relativa, assemblando cioè tramite un montaggio tutto orizzontale infinite volte la medesima immagine – quasi il medesimo fotogramma, potremmo dire – variata secondo le tre direttrici di strutturazione dei cristalli: traslazione, rotazione, riflessione. A partire dalla fine del Seicento Analysis Situs veniva chiamata quella branca della geometria piana che si occupava di mettere a fuoco le proprietà di oggetti, figure, rapporti, grandezze garantendo così al mondo una piena predicabilità orientata dai postulati euclidei e non solo. Ma di fronte ad un'opera di Escher si ha l'impressione che l'Analysis Situs si tramuti in una sorta di tavolo anatomico: ad essere scomposto e sezionato secondo le sue callidae duraeque iuncturae è lo spazio stesso, in seno al quale la forma specifica delle cose non riveste più rilevanza alcuna, perché portata ad un livello tale di generalizzazione da essere polverizzata in una continuità multipla di punti, linee, superfici, i quali, nel realizzare il massimo grado di chiusura tautologica della rappresentazione su se stessa, trasformano quest'ultima in una traduzione equivoca dell'infinito.


NOTE
1. Si è trattato di un'ampia antologica affiancata da un ciclo di conferenze tenute da alcuni esperti di Escher, i quali componevano anche il comitato scientifico che si è occupato dell'allestimento: tra di essi Piergiorgio Odifreddi, Marco Bussagli (curatore della mostra di Roma), Federico Giudiceandrea, Luigi Grasselli.
3. M. Foucault, Questo non è una pipa, SE, MIlano, 1988.