Crivella Giuseppe
Dopo la
mostra di Reggio Emilia conclusasi il 23 febbraio 2014 a Palazzo
Magnani [1] apre dal 20 settembre al 22 febbraio 2015 presso il Chiostro
del Bramante a Roma una nuova poderosa retrospettiva dedicata al grande
incisore olandese, sapientemente curata da Marco Bussagli [2]. Sviluppandosi lungo un percorso di ben 150 opere, la mostra si propone di attraversare tutto l'arco creativo dell'artista, soffermandosi in particolar modo sulle molteplici e non sempre unitarie declinazioni che lo spazio escheriano ha conosciuto nel tempo.
M. C. Escher, Mumified Frog |
Ma innanzitutto che cos'è uno spazio escheriano? In primis una
sorta inesauribile equazione grafica, i cui fattori sono una
reiterata ripresa cum variatione
di cellule operazionali dal risultato imponderabile.
In secondo
luogo però uno spazio escheriano è anche l'impeccabile
estrinsecazione di una geometria tutta immaginaria, una specie di
dettagliatissima paralogia architettonica, che allestisce ambiti di
spostamenti riservati unicamente al pensiero, forcludendo dunque ogni
corporeità ed ogni concretezza fisica al di qua di una dimensione
rappresentativa che solo una decantata cogitazione può frequentare
in modo appropriato.
In terza
battuta lo spazio escheriano è un purissimo teatro ottico: lo
sguardo vi penetra dietro la spinta di una forsennata deambulazione
fatta di infinite e puntuali ponderazioni algebriche, riuscendo così
a percorrere l'incubo feroce di una razionalità felicemente
disincagliata da ogni vincolo oggettuale. Infatti, se è vero ciò
che dice Foucault della pittura del Novecento [3] – ovvero che essa si
caratterizza per la sottrazione della rappresentazione dalla
dittatura del verosimile – in Escher l'immagine non divorzia dalla
ratio mimetica per via di deformazione – degenerando cioè, come
per l'informale, verso un'esagitata eruzione di lacerti figurativi e
spume cromatiche che estinguono ogni reliquia di riconoscibilità –
ma piuttosto essa muove verso un tracciato asetticamente geometrico,
fatto di simmetrie, le quali, nell'ordinare lo spazio di
raffigurazione, scompaginano il rapporto tra sguardo e corpo, mente e
sensi, dimensione fisica e istanza noetica. Pertanto mediante un
ventaglio multiforme di rimandi e (pseudo)rispecchiamenti interni
all'opera, l'occhio diventa un disincarnato terminale di ricettività
poste in erratico galleggiamento all'interno della trasparente
icasticità dell'insieme.
Escher al lavoro |
Nel loro
duro e assoluto rigore formale le opere di Escher ricordano le
liriche di Valéry: sono il portato di una minuta cristallografia di
eventi tanto inafferrabili nel loro sottile prodursi, quanto
ineludibili per il massiccio e duraturo riverberarsi dei loro
effetti nel complesso dell'immagine, strutturata attraverso una
squadrata dinamica endogena che assoggetta ad un incontenibile
principio d'ordine non solo tutte le forme in gioco, ma anche tutte
le forze che ancora pulsano in esse. I suoi spazi inoltre hanno la
delicata filigrana di un labirinto borgesiano: completamente –
diremmo cartesianamente – dispiegati dinanzi a noi, essi celano
tuttavia dei riposti congegni di sviamento e stallo che si attivano
non appena lo sguardo tenta di addentrarvisi. Un platonismo degli
impossibilia è ciò
che Escher sembra mettere in campo, riflettendo instancabilmente
sulla instabile dialettica che lega e conchiude in un unico piano di
emersione forma e sfondo, figura e luogo, superficie e linea. Si
osservino le serie delle cosiddette divisioni regolari: qui il corpo
dei vari animali rappresentati – animali solitamente scelti per la
loro guizzante sinuosità – d'improvviso si geometrizzano,
ipostatizzandosi in una sorta di compatto seppur mobile ideogramma
ripetuto innumerevoli volte, variato secondo posizione, dimensione,
orientamento spaziale, fino a riempire tutta l'incisione.
M. C. Escher, Concavo e convesso |
NOTE
1. Si è
trattato di un'ampia antologica affiancata da
un ciclo di conferenze tenute da alcuni esperti di Escher, i quali componevano anche il comitato scientifico che si è
occupato dell'allestimento: tra di essi Piergiorgio Odifreddi, Marco Bussagli (curatore della mostra di Roma),
Federico Giudiceandrea, Luigi Grasselli.
3. M. Foucault, Questo non è una pipa, SE, MIlano, 1988.