domenica 30 novembre 2014

Badiou-Deleuze, duellanti all'ombra di Heidegger...

di Alain Badiou [*]

A. Badiou e G. Deleuze
Vorrei riepilogare oggi gli accostamenti che avevo abbozzato tra te ed Heidegger nella mia ultima lettera.
1) Una differenza cruciale sembra scoraggiare la comparazione. In te non c'è alcun montaggio «istoriale» simile a una «storia dell'oblio dell'essere», «declino», ecc. Come tu stesso dici, tu non sei affatto tormentato dalla «fine» della filosofia. Tu avverti l'energia della tua epoca, come è necessario fare per tutto il resto. Tu ami e pensi il cinema, il romanzo americano, i movimenti di popoli particolari, la pittura di Bacon...Il paysan [1] della foresta nera non t'impressiona. Tu sei uomo di metropoli imperiali, un uomo della potenza bestiale del capitalismo, un uomo delle sottrazioni invisibili e delle capillarità contemporanee più sottili.
2) L'essere non è assolutamente in te una «questione», e del resto tu non voti in alcun modo la filosofia all'«interrogare», e neppure al «dibattito», forma francese e interlocutoria del «questionner» tedesco.
3) La tua genealogia filosofica personale (gli Stoici, Spinoza, Leibniz, Hume, un certo Kant, Nietzsche, Bergson) è molto diversa da quella di Heidegger (i Presocratici, Aristotele, un altro Leibniz, Schelling, un altro Nietzsche, Husserl...)
4) Tuttavia tre punti mi colpiscono come l'indicazione lontana di una risonanza:
L'ostilità a Platone. E, in un certo senso, per la stessa ragione di Heidegger; Platone è la messa in campo di un regime della Trascendenza.
L'ostilità a Descartes. Anche qui un motivo comune, seppur in linguaggi praticamente opposti, si lascia indovinare: Descartes è la messa in campo di un regime di sovranità subordinato al Soggetto.
La convinzione che Nietzsche sia un «ago della bilancia». Tu argomenti in modo molto sottile contro l'interpretazione heideggeriana di Nietzsche. Ma c'è, per entrambi, una questione decisiva: come dare senso all'affermazione? E tale attribuzione di senso all'affermazione (tale «senso della forza attiva») è legato alla critica di Platone. Perché Platone esaspera la forza attiva (o immanente) nella separazione trascendentale dell'Idea.
Ciò che ti allontana da Platone è la convinzione che l'accesso al reale deve pensarsi come prova [2] immanente (o creatrice), e non come iscrizione o matema [3]. Ciò che ti distanzia da Descartes è la convinzione che tale prova immanente non ha il suo criterio nel radicamento chirificato delle ragioni, ma in una finezza descrittiva di cui l'Arte è il vero paradigma. Ciò che ti lega a Nietzsche è la convinzione che il Molteplice debba essere pensato come duplicità della Vita (forze attive e passive), e non come inerzia o estensione semplice.
­6) Il punto decisivo mi sembra essere la tua concezione dell'essere come virtualità pura. Non è affatto il lessico di Heidegger. Tuttavia la sua «latenza» e il tuo caos sono co-pensabili. Lo sono in quanto riserva ultima, di cui non esiste esperienza diretta, e di cui il pensiero è simultaneamente rivelazione e custodia [4].
M. Heidegger
­In Heidegger c'è una versione patetica dello sforzo del pensare: il «culmine di abbattimento» ecc. Tu eviti questo tipo di gergo. Ma in egual modo tu arrivi a pensare il pensiero come una «traversata» contemporaneamente impegnativa, prossima e riposta, del virtuale infinito. Che l'essere sia virtualità pura comporta che la creazione pensante sia sempre come una testimonianza frammentaria nei confronti di un viaggio sui margini del caos.
Da ciò deriva che la figura del Cristo possa servirti come metafora sia per Spinoza che per Bartleby lo scrivano. In ugual misura essa è costantemente sottintesa nel modo in cui Heidegger descrive il  «nostos» o la resistenza di  Hölderlin. La logica generale dei flussi è come una versione senza pathos di ciò che Heidegger descrive come la libertà dell'Aperto.
In fin dei conti, la decisione di pensare l'essere, non come semplice dispiegamento neutro, interamente attuale, senza profondità alcuna, ma come virtualità sempre percorsa in attualizzazioni, il fatto che queste attualizzazioni siano come il popolamento di un taglio (taglio di un piano di immanenza per te, taglio dell'esere per Heidegger) conducono a una logica della potenza trattenuta che io credo comune, nel corso del secolo, ad Heidegger e a te.
La questione sarebbe però la seguente: che cosa, ai tuoi occhi, differenzia essenzialmente il tuo rapporto virtuale/attualizzazioni dal rapporto heideggeriano dell'essere e dell'essente?
Noi siamo qui (come quando tu cerchi di collocarmi tra i neokantiani) in un protocollo d'indagine della tua creazione di concetti, e non in ciò che è il tuo nemico più intimo: l'Analogia [5].
Ti abbraccio.

Note
* Traduzione intergrale dell'ultima lettera che Badiou inviò a Deleuze nel luglio del 1994, poi pubblicata integralmente da Libération il 7/11/1995 - tre giorni dopo il suicidio del filosofo di Différence et répétition - e reperibile in originale presso il sito http://www.liberation.fr/culture/1995/11/07/une-lettre-a-gilles-juillet-1994_150478
Non risulta una risposta di Deleuze a questa missiva.
Tutte le note sono del traduttore.
1. Lasciamo non tradotto il lemma /paysan/ poiché i corrispettivi italiani non riescono a rendere a pieno la coloritura arcaicizzante propria del francese, coloritura che ben si adatta alla lettura data qui da Badiou della figura di Heidegger.
2. Badiou si serve del termine /épreuve/.
3. Sulla nozione di matema cfr A. Badiou, L'essere e l'evento, ed it a cura di Giovanni Scibilia, Il Melangolo, Genova, 1995, pp. 127-133, in particolare l'undicesima meditazione dal titolo La natura: poema o matema?
4. Cfr M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, ed it a cura di A. Caracciolo, Mursia, Milano, 1973, passim, e anche Contributi alla filosofia (dall'evento), a cura di F. W. Von Hermann, ed. it a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 2007, passim.
5. A proposito dell'analogia cfr G. Deleuze, Différence et répétition, P.U.F., 1968, in particolare pp. 386 e sgg.

(Traduzione di Crivella Giuseppe)