sabato 20 dicembre 2014

Le immagini dell'immagine. Profanare i dispositivi, 4

di Jean-Luc Nancy [*]

Un ritratto di Jean-Luc Nancy
A proposito dell'espansione prodigiosa delle immagini attraverso ciò che viene chiamato «social network», degli effetti di questa proliferazione, soprattutto quando essa è legata a ciò a cui ancora si dà il nome di «guerre» che devastano il nostro mondo inducendo degli sconvolgimenti in ciò che ancora viene denomiato  «la stampa». Io sottolineo tre singolarità di linguaggio poiché esse testimoniano la presenza di un décalage (di cui non vi sarebbero altri esempi) tra il lessico che abbiamo a disposizione e le realtà da denominare. Tale décalage non è affatto estraneo al soggetto da trattare.
- «social network» suppone che «social» non abbia nessun altro senso determinato che quello di «gruppo di comunicazione». Poiché, se lo si volesse distinguere da «politico», «religioso» o «comunitario», si sarebbe di certo ben lontani dallo scopo: tutte queste categorie, insieme ad altre, sono all'opera nell'attività di tali networks.
- La «guerra», da parte sua, è un termine la cui accezione classica, legata agli Stati sovrani e al diritto pubblico, non è assimilabile alle operazioni di polizia o di milizia (differenza spesso confusa, come quella tra civili e militari) di cui si tratta qui.
- La «stampa» non soltanto non è più stampata come vorrebbe il suo nome, ma è debordata attraverso dei flussi di informazione e di riflessione che colano da ogni parte, più rapidi di essa e infinitamente più moltiplicati, disseminati, diffratti.
Tendenzialmente questi tre registri non sono che dei modi, in incessante trasformazione, della stessa massa malleabile e duttile di un multiverso in ri-decomposizione costante. Inevitabilmente, ogni registro afferisce a o infetta tutti gli altri. Ognuno cerca confusamente la sua verità nell'altro, nessuno sussiste sotto una forma identificabile e fissa.
Questi flussi di trasmissioni, distorsioni, interferenze, enunciazioni, denunce non sono mai mancate nella
Jean-Luc Nancy
società, e d'altronde sono sempre stati riarticolati in una maniera o in un'altra. Se c'è novità, essa è piuttosto, oltre alla velocità della propagazione, nel fatto che questa circolazione si rappresenta a se stessa: essa si comunica, s'interroga, si riflette, si ripete, si rilancia. Un network menziona l'altro, che ne denuncia un terzo, un magazine li cita tutti, tribune, opinioni, interventi sono ripresi, riciclati, ripercossi in modo indefinito.
Ci facciamo un universo in cui non vi sono che metalinguaggi e immagini di immagini.
Non v'è dubbio che i milioni di immagini, che milioni di apparecchi registrano con ardore, non turbano con i loro fuochi d'artificio la gestione di ciò che un tempo fu l'illustrazione delle notizie. Non si tratta più di illustrare né di documentare. Si tratta di mostrare la cosa stessa - in primis la ferita, la fame, lo scontro, il virus, il dolore - e di far avvertire tutto il suo peso di intollerabilità e vergogna.
Queste immagini sono spesso terribili, sovente anche sollecitate, orientate dalla loro leggenda, addirittura più o meno elaborate a seconda delle intenzioni di colui che la soppesa, la propaga, la innesca come una piccola granata dai colori foschi. Esse sono dei discorsi contratti, solgans visuali, possono ostentare lo scoop o l'acrobazia, il caso fotunato o il sapiente calcolo che le ha prodotte.
Esse circolano, causano choc, fanno fede - choc e fede impastati insieme. Corrono da una parte e dall'altra, crepitano, palpitano, sfrigolano, trasudano e sputano. Sono maglie e reticoli, aghi d'acciaio, pneumatici bruciati negli occhi, colori lacrimogeni, getti d'acido e segreti cospiratori. Quale immagine abbiamo noi delle immagini? La più arcaica e allo stesso tempo la più ingenua.
Arcaica, perché noi le attribuiamo sempre il prestigio dell'icona, del contatto col sacro, e ingenua perché noi la crediamo incommensurabile con la parola, anche quando si tratta di segnali «bavards».
L'immagine, in verità, è un'idea - poiché tale è il senso di questo vecchio termine greco: la forma vera che la visione banale lascia sfuggire. La forma di ciò che si mantiene al di là della presenza immediata e fugace. Così le immagini dei culti, così i disegni, la pittura, a partire da Chauvet e i painted deserts.
Non si dà immagine senza la sua idea, esattamente come non si dà né Giotto, né Dong Qichang, ne Lisette Model senza un pensiero. Altrimenti è inutile parlare di immagini: vi sono molti altri termini disponibili vignetta, scatto, vista, foto, souvenir, testimonianza, istantanea, manifesto.
L'immagine sta nella rassomiglianza alla sua idea. Essa ne è la somiglianza. Il sembrare.
E quindi è necessario che qualcosa compaia. Se ciò che appare consiste prima di tutto nel mostrare i reticoli
delle guerre e le guerre dei reticoli con tutti i loro burattini, dimentichiamo le immagini. Che la stampa parli, commenti, rifletta. A che pro impiastricciare d'aneddoti illustrati con goffaggine la carta o lo schermo dei giornali? Ma, d'altra parte, perché prendersela per la dissolutezza visiolatra? L'immagine secondo il suo concetto - simultaneamente l'imago latina, le arti dell'immagine e dell'immaginario - si trova in un rapporto essenziale con l'assenza. Essa raffigura l'inapparente. Ora, le miriadi di immagini turbinanti dagli smartphones ai tablets, dalle clips agli scatti non si preoccupano che della presenza: è immediatamente l'effettività della scena che si propone. Il mondo designato dalle parole dei media è un mondo dell'immediato.
 Pertanto il suo assioma è esattamente quello che McLuhan formulava così: «il medium è il messaggio». Se è vero che nessun senso è dissociabile dalla sua espressione, il messaggio in quanto medium significa di contro: non v'è più messaggio, non c'è più senso, ma solo un crepitare ininterrotto di rappresentazioni bloccate che si trovano tanto nelle parole quanto nelle supposte «immagini» - terrorista, Kalašnikov, fumo, missile, attentato, scontro, perdite, compiangere, condannare, territorio, rifugiati, indignazione, preoccupazione, base, ritirata, sorvolo, approvigionamento, ospedale, umanitario, popolo, nazione, gruppo, forze, negoziazione, bambino, vittima, raid, desolazione, rovina, catastrofe, superstite, sopravvissuto...

[*] Traduzione dell'articolo di J-L Nancy uscito su Libération il 18-08-2014. Cfr http://www.liberation.fr/photographie/2014/08/18/les-images-de-l-image_1082747

(Traduzione di Crivella Giuseppe)