martedì 31 marzo 2015

Husserl e il recupero genetico della mereologia [I]

di Laurent van Eynde

Edmund Husserl
In uno studio relativamente recente, Jocelyn Benoist introduceva il suo assunto con queste righe audaci: «ridare il loro colore agli oggetti, questo potrebbe essere, schematicamente riassunto, il progetto d ogni fenomenologia, trascendentale o meno, con risultati d'altronde più o meno validi» [1].
Questa affermazione si fonda di certo sull'analisi della teoria del tutto e delle parti sviluppata da Husserl nella III Ricerca Logica [2]. Tale mereologia svela in effetti una legalità inerente alla materialità stessa del contenuto colto nell'atto intenzionale, indipendentemente dalla modalità della intenzionalità. Husserl mette in luce così un a priori oggettivo materiale che s'impone alla rappresentazione e induce a prendere in considerazione la materia dell'oggetto nella sua costituzione come condizione stessa della sua oggettività. Le relazioni di dipendenza e indipendenza strutturano l'oggettività nella sua concretezza – e, tra le relazioni di dipendenza a priori, Husserl preferisce trattenersi in particolar modo sull'esempio del colore e della superficie, cosa questa che spiega immediatamente la formula di Jocelyn Benoist. Ma «ridare il loro colore agli oggetti» deve di certo intendersi nel senso più generale della riabilitazione dell'a priori sintetico materiale, così come questa si impone sia all'empiria stessa che al giudizio – tesi pertanto diretta sia contro l'empirismo nel senso più stretto, sia contro il kantismo. Ora, che qui sia in gioco un aspetto prettamente fenomenologico, è attestato dal fatto che l'interesse di Husserl per questa tematica è piuttosto vecchio. Sebbene la questione della mereologia sia appena intravista in Filosofia dell'Aritmetica, tramite l'evocazione dei momenti figurali, vi si profila comunque l'esigenza di una analisi approfondita che confermeranno in seguito i lavori del 1894 ovvero sia negli Studi psicologici per la logica elementare, sia in occasione della polemica con Kasimir Twardowski sullo statuto da accordare ai cosiddetti oggetti intenzionali. In tal modo la III Ricerca Logica appare come termine di una serie già lunga di riflessioni.
A dire il vero, le Ricerche Logiche, sviluppando questo capitolo mereologico, rendono giustizia ad una questione che assilla l'animo di Husserl da quando questo è pervenuto alla distinzione tra concreta e abstracta, tra gli abstracta materiali e gli abstracta formali. Da questo momento tutta la riflessione di Husserl si articola attorno alla distinzione dei due a priori, materiale e formale, i quali elevano a legge il polo oggettivo della intenzionalità. Ma, nel momento in cui la presa in considerazione dei due a priori oggettivi viene compiuta innanzitutto sullo sfondo di una preoccupazione costante di una loro articolazione, i Prolegomeni del 1900 nel loro sforzo di fondazione della logica come scienza interamente teorica, porranno una ben netta distinzione verticale tra l'a priori sintetico materiale e l'a priori analitico formale, che la distinzione trasversale tra l'a priori del polo soggettivo e l'a priori oggettivo formale sembra non far altro che rimarcare ancora di più, a tal punto che essa pare andar di pari passo con il disinteresse per l'altro a priori oggettivo. Non senza stupore pertanto scopriamo questo studio dell'a priori sintetico materiale, il quale costituisce la III Ricerca Logica – come se ad essere in gioco fosse una semplice «contropartita ontologica» alla considerazione molto più ampia e sistematica dell'a priori formale in rapporto alla significazione.
Ora, se il tema del polo oggettivo della intenzionalità deve essere compreso sulla base della problematizzazione della distinzione verticale dei due a priori, non si può non rimanere interdetti per il riemergere della questione mereologica molto più posteriormente in seno all'itinerario husserliano, dopo che i zigzag del suo pensiero l'avevano condotto a porre l'accento ormai sull'a priori soggettivo, a spese di quell'idealismo trascendentale che gli è stato, e gli è ancora a volte, rimproverato. Inoltre il recupero della teoria del tutto e della parti sembra acquistare ancora un po' più di peso in forza della sua iscrizione nella prospettiva genetica, così rilevante, a partire da Logica Formale e Trascendentale [3]e Meditazioni Cartesiane [4], per la nuova fondazione della logica dal punto di vista della sua genealogia. Così la mereologia riappare in una prospettiva genetica nel testo messo a punto da Landgrebe, e noto col titolo di Esperienza e Giudizio, e questo anche sulla base di questioni simili a quelle affrontate in Lezioni sulla Sintesi Passiva. Qual è allora la portata e il senso di questo recupero, dal momento che la distinzione verticale tra i due a priori oggettivi non può più essere studiata sul modello delle RL, ma piuttosto soltanto nella prospettiva di questa tensione nuova che domina il trattamento del polo soggettivo dell'intenzionalità a partire da Ideen II, e cioè la tensione genealogica e teleologica tra la natura e la storia?

I
La III Ricerca Logica ha per vocazione di sottolineare la distinzione tra ciò che essa affronta, a seguito della seconda, come due tipi di a priori, il doppio a priori che struttura, secondo modalità d'apprensione differenti, l'empiria del concretum colto nell'atto intenzionale. Tale impresa è essenzialmente portata a compimento dal primo capitolo della terza ricerca. Il trattamento che Husserl riserva allora alla differenza tra contenuti indipendenti e dipendenti permette di portare un certo numero di precisazioni essenziali su ciò che sono i momenti astratti e i frammenti concreti dell'oggetto individuale. Questa differenza nel rapporto delle parti al tutto implica la presa in considerazione di una legalità inerente alla materialità stessa dell'oggetto così come questo si dà. I rapporti di dipendenza si impongono alla coscienza, la quale non ha altra scelta che accordarvisi, incapace come è di pensare un ordine altro delle cose materiali:

si tratta di differenze intrinseche, che si fondano nell'essenza pura delle cose, ma che – poiché sussistono e ci sono note – ci costringono ad asserire che un pensiero che prescinda da esse è impossibile ovvero che è assurdo un giudizio che non ne tenga conto. Ciò che noi non possiamo pensare, non può essere, ciò che non può essere noi non lo possiamo pensare [5].

Pertanto bisogna riconoscere che, al di là di una maggiore precisione concettuale, non apprendiamo qualcosa di più sui contenuti concreti indipendenti e sui contenuti astratti non autonomi rispetto a ciò che sapevamo già dai testi del 1894 o in relazione alla fine della seconda ricerca. La mereologia della III Ricerca Logica è rilevante dunque meno per lo sforzo che essa consacra all'analisi al dettaglio dei contenuto concreti e astratti che per il suo tentativo di specificare questa legalità sintetica, distinguendola quindi dalla necessità analitica, la cui messa in chiaro è il fine stesso dell'opera del 1901. In tal modo Husserl insiste da subito sullo statuto ideale della legalità materiale. Non si tratta evidentemente «d'una incapacità soggettiva a non-potersi-rappresentare altrimenti, ma d'una necessità ideale oggettiva a non-poter-essere altrimenti» [6]. È presente una necessità d'essenza che attesta l'azione di una legge sui momenti indipendenti ogni volta individuali e, nella loro esistenza individuale di fatto, per altro contingenti. Husserl insiste così sulla l'a priorità della legge mereologica materiale, che egli oppone alla contingenza, ma anche alle leggi e alle regole empiriche delle scienze della natura. Nel caso della legge pura d'essenza dell'a priorità materiale «non deve essere implicata alcuna posizione d'esistenza empirica nella coscienza generale della legge, come nel caso delle regole e delle leggi empiriche generali» [7]. La legalità mereologica presenta certo un a priori materiale – essenza pura nella materialità dell'oggetto. La definizione della parte dipendente come «non-poter-esistere-per-sé», discende allora dalla sorgente: «c'è una legge d'essenza in base alla quale l'esistenza di un contenuto della specie pura di questa parte […] presuppone assolutamente l'esistenza di contenuti di certe specie corrispondenti» [8].
Ma Husserl non può fermarsi qui. Egli ha stabilito un a priori in rapporto alla contingenza dell'oggettività concreta individuale e, in modo accessorio, in rapporto alla legalità empirica delle leggi della natura. Egli ha in tal modo preparato l'accesso a una struttura ontologica determinante per l'attività stessa della coscienza nella sua relazione trasversale all'oggetto colto intenzionalmente. Il paragrafo 11 della III Ricerca Logica pone una distinzione forse ancora più importante, rilevando «la differenza tra queste leggi materiali e le leggi formali o analitiche» [9]. Husserl si appoggia innanzitutto sulla differenza immediata tra concetti materiali e formali che presentano un carattere fondamentalmente differente. In effetti i concetti di qualche cosa, d'oggetto, di qualità, di relazione, di connessione, di pluralità si raggruppano attorno all'idea vuota di qualche cosa o di oggetto in generale e sono in rapporto all'oggetto in generale come assiomi ontologici formali. Di contro, i concetti come casa, albero, colore implicano una dimensione concreta in base alla quale essi si ordinano attorno a grandi categorie materiali – categorie materiali nelle quali si radicano le ontologie materiali. C'è qui, sottolinea Husserl, una divisione cardinale tra il formale e il materiale che spinge a tener conto di questa ambivalenza ontologica della generalità tra l'a priori analitico formale e l'a priori sintetico materiale. Husserl propone una definizione in due tempi di questa ambivalenza ontologica, mirando ancora una volta a separare i due a priori in maniera principiale [*]. Nel paragrafo 11 una forma di priorità sembra essere concessa all'a priori sintetico materiale, nella misura in cui la sua definizione riceve la forma più positiva. Le leggi dell'a priori materiale in effetti includono, inversamente rispetto alla necessità formale, un contenuto concreto. La mereologia, in quanto legalità materiale, in quanto organizzazione di dipendenza, appare insomma più ricca rispetto alle “semplici” leggi formali. Il contenuto concreto materiale fa la ricchezza della legge.
Tuttavia è impossibile disinteressarsi dell'a priori formale – dal momento che la stessa mereologia può prendere un aspetto formale. In effetti, se la dipendenza materiale può esprimersi con l'esempio di un contenuto concreto come «un colore non può esistere senza un estensione che sia ricoperta d'esso», lo stesso rapporto mereologico può esprimersi questa volta senza un contenuto materiale concreto, attraverso la proposizione formale: «un tutto non può esistere senza parti». L'a priori formale riceve allora un primo tentativo di definizione positiva, secondo uno dei schemi classici di definizione dell'analitica, quello del truismo: «termini correlativi si postulano l'un l'altro reciprocamente e non possono essere pensati né esistere l'uno senza l'altro» [10]. Tuttavia, il riferimento a questo tipo di definizione ha unicamente una funzione didattica o propedeutica, dal momento che essa rende più avvertibile la differenza tra il valore analitico della proposizione “un tutto non può esistere senza parti” e la proposizione di dipendenza “non un colore senza estensione”, tanto è vero che il concetto di colore non include analiticamente l'estensione, così come materialmente – cioè dal punto di vista del contenuto concreto – il colore non può mai essere pensato senza l'estensione.
Tuttavia è chiaro che questa apparenza di definizione positiva dell'analitica formale non può ancora bilanciare la ricchezza del contenuto concreto materiale nella definizione del sintetico, la quale mostra un reale rapporto di dipendenza. Questa prima definizione, tramite il truismo quindi, dall'analitica formale immette a una seconda definizione che sembra voler rovesciare il rapporto dei due a priori, quasi per eguagliarli meglio, conferendo questa volta una forma positiva all'analitica formale e una forma negativa al sintetico materiale. Nel paragrafo 12 in effetti, se Husserl richiama dapprima l'essenza del contenuto concreto materiale nella formazione della legalità formale, è innanzitutto per costatarvi anche una indipendenza nei confronti sia della legalità del concreto materiale sia della fatticità individuale. La sfera dell'analitica appare allora non come luogo di indigenza, ma d'indipendenza – in rapporto al radicamento e alla dipendenza che caratterizzano il sintetico materiale. Ma la definizione principale non sopraggiunge che in seguito: le proposizioni analiticamente necessarie sono definite «come proposizioni che possono formalizzarsi completamente e concepirsi come casi particolari o applicazioni empiriche delle leggi formali o analitiche risultanti legittimamente da questa formalizzazione» [11]. Ciò che dunque definisce una legge formale è la variabilità delle materie concrete – là dove invece la legalità materiale è ridotta a fissità. E Husserl chiarisce così questo nuovo contrastato approdo:

In una proposizione analitica deve essere possibile sostituire ogni materia mantenendo pienamente la forma logica della proposizione, con la forma vuota qualcosa e mettere da parte ogni proposizione esistenziale passando alla forma giudicativa corrispondente, provvista di una generalità incondizionata ovvero del carattere di legge [12].

Tale libera variazione, questa sorta di sradicamento della legge formale analitica, quale, per esempio, “un tutto non può esistere senza parti”, s'oppone alla necessità materiale delle dipendenze mereologiche, la quale non può supportare, essa sola, una tale formalizzazione. Da qui allora la nuova definizione, questa volta via negativa, della necessità sintetica:

Ogni legge pura, che includa i concetti materiali in modo tale da non consentire la loro formalizzazione salva veritate (in altri termini, ogni legge che non è una necessità analitica) è una legge sintetica a priori [13].

Il rovesciamento del rapporto di definizione tra i due a priori genera equilibrio tra di essi. Non v'è in effetti progresso dell'approccio sistematico nella transizione dal par 1 al par 2. Le definizioni, prima tramite il contenuto concreto materiale poi mediante la variabilità, si corrispondono strettamente – è proprio il contenuto materiale che può variare o meno ed è la variazione stessa che può o meno vertere sul contenuto materiale. I due paragrafi aprono infatti all'equilibrio della distinzione – è questo evidentemente lo strumento più sicuro per operare una distinzione stretta, cardinale, la quale per di più non minaccia nessun abbozzo di rapporto gerarchico. In una delle notazioni conclusive del par 12, Husserl insiste d'altronde sulla finalità della ricerca, allorché sottolinea che un primo passo è stato fatto verso una differenziazione sistematica tra le ontologie a priori. Si deve essere pertanto inclini a credere che questo primo capitolo della III Ricerca Logica raggiunga in tal modo il suo scopo profondo. In termini di leggi ontologiche si è spinti a credere che l'oggettività si divide per così dire in due mondi – quello del contenuto materiale e quello della libertà formale (libertà in relazione ai contenuti, s'intende). Husserl rincara:

Ciò che qui si è detto dovrebbe bastare per rendere visibile la differenza essenziale tra leggi che si fondano nella natura specifica dei contenuti e a cui si ricollegano i casi di non-indipendenza, e le leggi analitiche e formali che, fondandosi puramente nelle categorie formali, sono indifferenti a qualsiasi materia della conoscenza [14]

Due mondi ontologici si fronteggiano nel cuore stesso del polo oggettivo dell'intenzionalità. Uno è definito come sfera delle fusioni, delle dipendenze, l'altro come sfera della libera associazione che è sottoposta unicamente alla legge di variabilità o formalizzazione. La differenza cardinale si situa quindi tra un'a priorità che è quella dell'intra-appartenenza e un'a priorità che è quella del libero formalismo. Che vi sia in definitiva la possibilità di sviluppare tutta una teoria analitica pura invece dell'enunciazione di una legalità pura, all'occorrenza mereologica, è ciò che mostra nel secondo capitolo l'ampio studio (a cui questo capitolo è interamente dedicato) della teoria della forme pure degli interi e delle parti. Tale secondo capitolo conferma innanzitutto che la III Ricerca Logica non aveva come solo fine di sviluppare una mereologia materiale autonoma, ma piuttosto d'organizzare il confronto dei due tipi di a priori oggettivi, lasciando intendere inoltre che se non può esservi questione di stabilire una gerarchia tra questi due tipi di a priori, è comunque senza dubbio necessario inquadrare il valore teleologico del ruolo giocato dal secondo a priori nella costituzione dell'oggettività. Ritorneremo su questo ruolo teleologico alla fine della nostra analisi dei passaggi mereologici di Esperienza e Giudizio, ma già da ora possiamo notare che la teleologia della coscienza, tramite cui essa tende e si orienta verso la formazione di categorie libere, concetti e leggi, non potrà significare una cancellazione dell'a priori materiale, ma tutt'al più chiarire l'intenzionalità nel senso profondo del suo rapporto, così come l'esperienza concreta, con questa legalità materiale. In ogni caso è evidente che la distinzione dei due a priori costituisce un lascito non trascurabile della III Ricerca Logica per tutto l'itinerario fenomenologico ulteriore. Pertanto siamo autorizzati a pensare che la preoccupazione d'articolazione che animava i testi precedenti non sia affatto spenta, ma che al contrario la rigidità di questa distinzione nello studio descrittivo del polo oggettivo dell'intenzionalità sia la condizione di possibilità di una certa riarticolazione propriamente fenomenologica. A questo punto condurre a termine la divisione del campo delle generalità oggettive comporta la promessa di un lavoro approfondito sulla possibilità della loro elaborazione ragionata e non oggettivamente gerarchizzata.


II
All'altra estremità dell'itinerario fenomenologico husserliano si trova dunque un ritorno esplicito alla mereologia. Ritorno così esplicito che d'altronde, al termine di questa nuova analisi dei frammenti e momenti che costituiscono le parti del tutto, Husserl compara direttamente le righe che precedono alla IIIRL, quasi ponendo in esergo il ruolo di complemento che gioca il par 31 di Esperienza e Giudizio in rapporto al testo del 1901, ma anche [a sottolineare] l'apporto originale della fenomenologia genetica e parallelamente l'insufficienza relativa dell'analisi della III Ricerca Logica. Husserl scrive:

mediante questa descrizione si intende, a partire dal lato soggettivo, quel che già nella III Ricerca Logica (§21) era stato stabilito in modo puramente noematico, ossia che le parti insostanziali “si compenetrano” in opposizione alle sostanziali che sono “l'una fuori dell'altra" [15].

In più, dal fatto non trascurabile, ma sul quale non ci attarderemo, che la III Ricerca Logica è evocata qui nei termini (la correlazione noetico-noematica) propri di una rilettura, possiamo sottolineare che l'analisi genetica è da subito situata nel polo soggettivo. Ma anche che pertanto tale ricentramento non deve comportare alcuna squalificazione delle riflessioni preliminari. Piuttosto l'analisi soggettiva deve affinare la comprensione della mereologia – e anche svelarne la verità profonda. In che modo dunque questa mereologia può pretendere di essere qualcosa di più di una ripetizione delle riflessioni che sembravano concluse al termine della III Ricerca Logica – e anche alla fine del primo capitolo di questa? O, per porre la domanda in altri termini, in che modo la fenomenologia genetica può completare la descrizione della mereologia?
Si sa che gli anni intercorsi tra la pubblicazione delle Ricerche Logiche e Ideen I furono occupati dalla ricerca di migliori condizioni in cui poter operare uno spostamento dell'investigazione fenomenologica dal polo oggettivo dell'intenzionalità al suo polo soggettivo. Nello sforzo per una comprensione più precisa e più sistematica dello sviluppo trasversale dell'intenzionalità dal momento iniziale del coglimento fino al termine del riempimento, in direzione dunque di questa oggettività che si rivela essere retta da una doppia legalità, Husserl mette in campo la struttura noetico-noematica che, rivelandosi allo sguardo della riduzione fenomenologica, permetterà di descrivere le leggi di costituzione soggettiva dell'oggettività.
Questa retrocessione in relazione a l'a priori dell'oggettività non può condurre a una impasse, contrariamente a ciò che si credeva in Ideen I, per quanto riguarda la questione della genesi di questo rapporto costituente della coscienza nei confronti dell'oggettività. Se la descrizione dell'a priori soggettivo era all'inizio interamente diretto verso la chiarificazione del rapporto all'oggetto intenzionato, come se entrambi, fosse anche sotto l'aspetto della correlazione noetico-noematica, fossero sempre di fronte, l'analisi genetica rimette in discussione la coscienza nel suo stesso sviluppo trasversale. Bisogna rileggere a questo proposito la seconda appendice a Logica Formale e Trascendentale:

mentre l'analisi “statica” è guidata dall'unità dell'oggetto intenzionato, e così, seguendo il rinvio che le è proprio in quanto modificazione intenzionale, tende dal modo di datità no chiaro alla chiarezza, l'analisi intenzionale genetica è indirizzata dalla connessione totale concreta, in cui si trovano di volta in volta ogni coscienza e il suo oggetto intenzionale come tale [16].

La fenomenologia trascendentale, la cui rivendicazione si fa esplicita simultaneamente alla distinzione delle analisi statica e genetica, può pervenire alla sua essenza unicamente in questa ricerca della genesi dell'oggettivazione. È precisamente ciò che spiega Husserl in quel manoscritto del 1921 intitolato Metodo Fenonemologico Statico e Genetico: «un'altra fenomenologia “costitutiva”, quella genetica, prosegue la storia, la storia necessaria di questa oggettivazione e, attraverso questa, la storia dell'oggetto stesso come oggetto di una conoscenza possibile» [17]. Ben inteso, non si tratta qui d'una storia empirica, ma dei presupposti trascendentali e dunque costitutivi dell'oggettivazione. L'a priori soggettivo, situato ora in un insieme concreto, esso stesso temporale, prenderà l'aspetto genetico di un concatenarsi di motivazioni secondo una legalità trascendentale. Questo concatenarsi si fonda su un carattere appercettivo della coscienza. Nel 1921 Husserl definisce così l'appercezione:

una coscienza che non ha solo in generale essa stessa coscienza di qualche cosa, ma che ne ha coscienza nello stesso tempo come qualcosa di motivante per qualcos'altro, che dunque non ha semplicemente qualche cosa di cosciente, sapendone ancora qualcosa d'altro che non sarebbe incluso in essa, ma che rinvia a quest'altro in quanto qualcosa che fa parte d'essa, che è motivato da essa [18].

Il movimento appercettivo anima tutta la vita intenzionale, dagli strati più originariamente materiali fino alla costituzione compiuta delle oggettività più generali. Tale movimento della coscienza è il luogo stesso della formazione dell'a priori soggettivo poiché, lungi dall'essere anarchico o cieco, esso è il luogo d'una emergenza delle appercezioni in ogni momento del flusso secondo delle legalità universali. La legalità del movimento appercettivo corrisponde all'a priori soggettivo, la cui presa premetterà da sola d'apprendere i modi complessi dei rapporti intenzionali dalle oggettività date. Da qui allora la giustificazione ultima dell'impresa genetica:

è dunque un compito necessario stabilire le leggi generali e primitive sotto le quali avviene la formazione dell'appercezione a partire da appercezioni originarie, derivando in modo sistematico le formazioni possibili, così da chiarire ogni configurazione data sulla base della sua origine [19].

L'analisi genetica intraprende dunque l'indagine sulle origini a priori della formazione delle oggettività scrutando le leggi di concatenazione della appercezioni – e, attraverso esse, questa è condotta a rendere pienamente giustizia al significato fenomenologico dell'iletica, della materialità e dell'affettività. In effetti, se le concatenazioni delle motivazioni giocano un ruolo genetico nel registro dell'attività, lo stesso accade per quello della ricettività e della passività. In Esperienza e Giudizio questa tripartizione è essa stessa diretta dalla prospettiva di una genealogia della logica che interroga la teoria del giudizio predicativo. Ora il logico non lavora su delle semplici forme predicative, ma piuttosto su formazioni che sono caratterizzate da una pretesa alla conoscenza. Da questo punto di vista una autentica fondazione della logica deve prendere in considerazione una doppia problematica: da una parte, quella delle forme stesse e delle loro leggi, dall'altra quella delle condizioni soggettive dell'accesso all'evidenza che implica la pretesa alla conoscenza. Ora, se il giudizio mira alla conoscenza e dunque si dirige per forza di cose su ciò che è, su ciò che si può chiamare in modo molto generale l'essente, esso deve godere di un dato preliminare. Il giudizio di conoscenza compiuto – il giudizio evidente – si rapporta allora a un pre-dato il cui modo di pre-datità è esso stesso evidente. Può trattarsi soltanto del «dato degli oggetti nella loro ipseità», il dato e la presenza alla coscienza di un oggetto in quanto egli è “qui in se stesso”, effettivamente presente in carne ed ossa. Da qui il privilegio accordato alla percezione esterna e che verrà confermato per tutta la durata dell'indagine. La vera questione della genealogia della logica è quindi quella della fondazione dell'evidenza giudicativa nell'evidenza oggettiva. Per questo bisogna innanzitutto cercare i giudizi più immediati vertenti su dei sostrati originari, i quali precisamente non sono affatto sospetti d'essere già il risultato d'un giudizio anteriore depositato in forme categoriali. Il dato evidente di un sostrato ultimo o originario deve essere un dato primario nell'evidenza della sua ipseità. Ora

ciò implica che un tale sostrato non possa essere un oggetto individuale. Perché ogni generalità e pluralità, anche la più primitiva, rinvia già all'atto di prendere assieme molteplici individui e, attraverso questo, a una attività logica più o meno primitiva, nella quale gli oggetti presi insieme ricevono già una formazione categoriale, che conferisce loro lo statuto di una generalità. [La genealogia della logica va dunque raccordata all'esperienza dell'oggetto individuale]: i sostrati originari sono dunque degli individui, degli oggetti individuali; e ogni giudizio pensabile si riferisce in modo finale a degli oggetti individuali, sebbene la mediazione che esso instaura possa essere molto diversa [20].

Tuttavia questo oggetto individuale non deve essere soltanto preso come dato certo della sua ipseità, ma anche come certezza che possa essere modalizzato. È precisamente questa certezza dell'oggetto individuale e della sua modalizzazione ad essere al centro dei momenti iniziali dell'analisi genetica, in cui viene alla luce la ripresa della mereologia. Il terzo momento determinante l'inizio dell'analisi genetica è la necessaria co-donazione dell'orizzonte all'oggetto individuale. In effetti, l'oggetto individuale è presente preliminarmente al movimento di conoscenza e questa presenza preliminare affetta la coscienza. L'affezione precede la presa. Ora, osserva Husserl, l'affezione «non consiste nel rivolgersi a un oggetto isolato singolare. Avere sotto forma d'affezione significa: staccarsi da un contorno che è sempre co-presente, attirare a sé l'interesse, eventualmente l'interesse di conoscere» [21]. Lo sfondo dello studio genetico è ormai ben piantato con i suoi tre aspetti fondamentali dell'esperienza ante-predicativa che sono la certezza del darsi dell'oggetto, la modalizzazione di questa certezza e infine l'inerenza dell'orizzonte alla struttura dell'esperienza. L'esperienza ante-predicativa, studiata sotto la sua forma strettamente passiva (più brevemente) e sotto la sua forma ricettiva (più a lungo), rivela un certo numero di strutture generali che mettono in scena la tendenza dell'Io. Si scopre, a partire dal livello della ricettività, l'essere-diretto del soggetto sull'oggetto. Il rapporto all'oggetto è retto dalla tendenza, la forza tendenziale della coscienza che si risveglia: «l'instaurarsi dell'orientazione-verso, del fare attenzione all'essente, mette in campo una condotta tendenziale, una presa di mira» [22]. Ed è precisamente in questa condotta tendenziale che nasce la propensione alla conoscenza e, tramite questa, all'oggettivazione.


NOTE
 1, AAVV, Recherches husserliennes, vol 3, p.3
 2. E. HUSSERL, Ricerche logiche, ed it a cura di Giovanni Piana, NET, Milano, 1988. Da ora sempre abbreviata in RL, preceduta dal numero romano indicante la ricerca a cui si fa riferimento e seguita dal numero di pagina dell'edizione italiana.
 3. E. HUSSERL, Logica Formale e Trascendentale, trad di Guido Davide Neri, Laterza, Roma-Bari, 1966. Da ora sempre abbreviata in LFT, seguita dal numero di pagina.
 4. E. HUSSERL, Meditazioni Cartesiane, ed it di R. Cristin, Bompiani, Milano, 1988. Da ora sempre abbreviata in MC,  seguita dal numero di pagina.
 5. IIIRL, p. 30
 6. Ibid.
 7. Ivi, p. 33.
 8. Ivi, p. 31
 9. Ivi, p. 32.
* principielle
10. IIIRL, 34.
11. Ivi, p. 41.
12. IIIRL, p. 45.
13. Ibid.
14. Ivi, p. 45-46.
15. E. HUSSERL, Esperienza e giudizio, ed it a cura di Enzo Paci e Filippo Costa, ed Silva, Milano 1960, p. 155. Da ora sempre abbreviato in EG, seguito dal numero di pagina.
16. LFT, p. 334.
17. Le edizioni italiana e francese per quanto riguarda quest'opera, differiscono completamente; indicheremo pertanto il numero di pagina della edizione francese consultata da Van Eynde: De la synthèse passive. Logique transcendantale et constitutions originaires, p. 330.
18. Ivi, 325.
19. Ivi, 324.
20. EG, p. 18.
21. Ivi, p. 20.
22. Ibidem.