giovedì 30 aprile 2015

Husserl e il recupero genetico della mereologia [II]

di Laurent Van Eynde

 
Un ritratto di Edmund Husserl
Ora, se la genesi dell'oggettivazione descrive l'emergenza dell'oggetto, essa deve anche descrivere l'emergere del rapporto dell'oggetto alle sue qualità – per dirlo in modo più diretto: le condizioni genetiche della frammentazione come quelle del radicamento dei momenti nell'intero. Non potrà più essere questione di dare per acquisito di fronte alla coscienza (pur tenendo fermo il presupposto della continuità del movimento intenzionale) dei contenuti dipendenti e dei contenuti indipendenti, ma bisognerà piuttosto descrivere le condizioni del processo legale d'autonomizzazione, così come le condizioni legali dell'apparizione della fusione tra i momenti e l'intero dell'oggetto individuale. Colpisce allora non poco che la reintroduzione del lessico che noi conosciamo bene, almeno dal 1894, della
Selbständigkeit e della Unselbständigkeit, sia preceduta da una variazione verbale. Nel paragrafo 28 troviamo il verbo verselbständigen il participio verselbständingt, i quali annunciano il nuovo modo di affrontare la questione mereologica. In più la scelta di questa forma verbale in espressioni come es wird verselbständingt ricerca in modo molto chiaro l'insistenza sul dinamismo – la tendenza all'autonomizzazione – tramite l'impiego del prefisso ver, là dove sarebbe stato anche possibile associare il verbo werden con il classico aggettivo selbständigt. Sarà soltanto nei paragrafi successivi che Husserl ritornerà alle forme aggettivali e sostantivali classiche. Già da ora possiamo prendere atto dell'iscrizione della mereologia nel progetto della fenomenologia genetica. Nelle Meditazioni Cartesiane Husserl sottolineava in modo molto rigoroso uno dei rischi corsi dalla fenomenologia a rimanere semplicemente statica:

la fenomenologia così costruita è meramente statica, le sue descrizioni sono analoghe a quelle che fa il naturalista, le quali studiano i tipi singoli per porli in un generale ordinamento sistematico. Rimangono ancora estranei i problemi della genesi universale ed estranea rimane la struttura genetica dell'io preso nella sua universalità, struttura che va oltre la sua formazione temporale: tutto ciò appartiene a un livello superiore [1].

La fenomenologia materiale è senza alcun dubbio il luogo in cui la tentazione della storia naturale è più forte, fino a rischiare di soccombere alla tentazione di una tassonomia infinita. Che non si possa fare un tale rimprovero all'ontologia materiale della III Ricerca Logica ci sembra evidente, tuttavia la fenomenologia trascendentale non poteva premunirsi meglio a sua volta contro questo pericolo che tramite la genesi legale delle oggettività. La storia genetica dell'oggettivazione libera l'accesso all'ultimo fondamento trascendentale dell'apparire legale dell'oggetto nella sua materialità stessa, e questo fondamento ignora sempre la storia naturale. Ma come avviene allora la transizione dall'oggetto individuale – dal sostrato del giudizio nella sfera predicativa – ai frammenti e momenti? Ricordiamo che Husserl, quando poneva l'oggetto individuale al centro dell'indagine genetica, intendeva rendere giustizia sia alla certezza del darsi dell'individuo, sia alla modalizzazione di questa certezza. Così, nelle ultime pagine consacrate «alle strutture generali della ricettività», il par 21 di Esperienza e Giudizio analizza l'apparizione delle modalità come provenienti genealogicamente dall'impedimento delle tendenze, cioè dal corso naturale della coscienza appercettiva nella contemplazione percettiva. Questa semplice modalizzazione del prendere di mira nella esperienza ante-predicativa, in cui la coscienza appercettiva è completamente votata al movimento della sua tendenza, costituisce già l'origine nella ricettività di concetti logici tanto fondamentali come la negazione o la possibilità. Ma ciò che soprattutto importa qui dal punto di vista della mereologia è che la modalizzazione si produce come «divenire incerto dell'oggetto nel suo essere così o così». Tutto il corso tendenziale della contemplazione non è frustrato e, d'ordinario, solo alcuni momenti (che noi intendiamo qui in un'accezione ampia) della contemplazione sono impediti. «In una parola, questi avatars della modalizzazione presuppongono un elemento d'es-plicazione [Explikation] dell'oggetto percepito». L'interesse dalla contemplazione e, in ultimo, della conoscenza, è dunque un movimento di coscienza che passa senza sosta da una presa semplice del dato individuale alla sua spiegazione, cioè a una presa (es-plicativa, questa volta) delle parti e dei momenti dell'oggetto. In tal modo bisogna distinguere tre momenti nella percezione contemplativa dell'Io diretto sull'oggetto individuale:
1. la presa semplice, che precede ogni es-plicazione e nella quale l'oggetto è colto come un tutto – si tratta del primo grado dell'interesse non ostacolato;
2. la contemplazione es-plicativa dell'oggetto: ogni oggetto individuale percepito è sempre già preso in un orizzonte di familiarità che dirige le attese della coscienza appercettiva sia per quanto riguarda l'esser-così dell'oggetto, sia per quanto riguarda le sue qualità, prese qui in un senso molto generale – si tratta allora di un percorso orientato dall'orizzonte interno dell'oggetto, dal sostrato;
3. infine l'interesse percettivo può anche prendere in conto tematicamente gli altri oggetti co-dati con l'individuo affettivamente originario – si tratta in questo caso di scrutare l'orizzonte esterno dell'oggetto.
Il grado del percorso percettivo, che deve qui attirare la nostra attenzione, è quello della es-plicazione dell'orizzonte interno, quello in cui «l'es-plicazione è una orientazione dell'interesse percettivo nel senso della penetrazione nell'orizzonte interno dell'oggetto», poiché è qui che si gioca l'emergenza ante-predicativa delle parti dell'intero. Ora è sempre l'appercezione della coscienza ad essere richiesta qui dall'apparizione, poiché l'orizzonte interno «è immediatamente co-risvegliato dal darsi dell'oggetto». L'oggetto si dà immediatamente con un carattere di familiarità che crea le attese così come le conduce. Pertanto, «ammettendo il caso di un esercizio non ostacolato dell'interesse percettivo, l'Io non può mantenersi a lungo in una contemplazione e in una presa semplice; infatti, la tendenza inerente alla contemplazione dell'oggetto lo spinge presto al di là» [2]. Veniamo così a distinguere naturalmente il sostrato e le determinazioni: il sostrato è es-plicato nella misura in cui lo sguardo va oltre la presa semplice del tutto per cogliere le determinazioni interne dell'oggetto, ma in maniera tale che il sostrato permanga comunque sotto presa. È soltanto a questa condizione che la presa della determinazione non è una nuova presa semplice, ma piuttosto una presa della determinazione che arricchisce la conoscenza del sostrato. La presa es-plicativa è una presa duplice in cui entra in gioco una sintesi di coincidenza del tutto specifica:

il processo dell'esplicazione nella sua originarietà è quello in cui un oggetto dato originaliter vien portato all'intuizione esplicante. L'analisi della sua struttura deve renderci chiaro come si compia in esso una doppia formazione di senso: «oggetto come sostrato» e «determinazione α...». L'analisi devi qui mostrare come si compie questa formazione di senso in forma di un processo che si svolge per tratti separati ed attraverso il quale pur si estende continuamente una unità di coincidenza, che è coincidenza di uno speciale genere appartenente esclusivamente a queste forme di senso [3].

Lo scivolamento dalla presa del sostrato alla presa della determinazione avviene in modo che la presa della determinazione non sia identica a quella del sostrato, senza tuttavia esserne del tutto differente. La sintesi di coincidenza es-plicativa deve la sua specificità al fatto che essa lega strettamente il continuo e il discreto. Questa specificità definisce precisamente le condizioni genetiche dell'emergere di una coscienza del tutto e delle parti.
Il corso della percezione è quindi un corso d'es-plicazione slittante senza sosta dall'intero alle parti, secondo un moto appercettivo della coscienza che si iscrive nell'orizzonte della donazione. Ma il fatto di rilanciare l'es-plicazione a partire dall'orizzonte comporta necessariamente una ramificazione dell'es-plicazione: piuttosto che portare alla luce continuamente le differenti determinazioni di uno stesso sostrato, la penetrazione nell'orizzonte interno dell'oggetto giunge a cogliere le determinazioni di una determinazione, cioè la prima determinazione “a” del sostrato S diventa un nuovo sostrato per una es-plicazione che farà emergere la determinazione “x” da “a” già stratificato. Tale acquisizione di indipendenza, tale Verselbständigung, minaccia allora di relativizzare la distinzione tra il sostrato e la determinazione. Una determinazione può divenire sostrato (per ramificazione dell'es-plicazione) e un sostrato può diventare determinazione (se l'oggetto è collegato con altri oggetti e se la collezione diventa un tutto suscettibile a sua volta di es-plicazione). Va da sé che nello stesso modo una collezione può colpirci come un tutto, sebbene essa sia composta d'oggetti individuali. Se dunque il rapporto sostrato-determinazione è inerente al corso dell'esperienza, richiesta come es-plicativa dalla ricettività, il rapporto degli interi e delle parti, che, nelle RL, era da subito studiato come formazione di legalità mediante il ricorso a una opposizione cardinale tra dipendenza e indipendenza dei contenuti, si rivela qui in ogni caso essere il luogo dell'arbitrio di un percorso apparentemente aleatorio della coscienza. Ora l'apporto essenziale della fenomenologia genetica su questa questione risiede nel fatto che essa va a rivelare la legalità nel luogo stesso del movimento, apparentemente arbitrario, delle sostantificazioni e delle determinazioni:

ma tosto che mettiamo in questione in senso genetico l'operare dell'esperienza da cui s'origina in evidenza originaria la distinzione di sostrato e determinazione, questa libera possibilità non vale più. V'è un limite alla relativizzazione di quella differenza che nel corso dell'esperienza procede all'infinito, e si dovrà distinguere tra sostrato e determinazione in senso assoluto e in senso relativo [4]

Nella genesi stessa viene a formarsi la legalità mereologica, non più come un a priori oggettivo compreso nel suo statuto semplicemente noematico, ma piuttosto nell'a priori soggettivo, come già l'annunciava il passaggio di Esperienza e Giudizio che si rifaceva alla III Ricerca Logica.
Se un sostrato può nascere da una sostratizzazione, ciò non è però vero per tutti i sostrati. La sostratizzazione di una determinazione suppone precisamente che essa abbia innanzitutto le determinazione di un sostrato – di un sostrato che essa quindi suppone. E così

noi veniamo perciò in conclusione e necessariamente a sostrati che non sono sorti da una sostratizzazione. Ad essi spetta sotto questo riguardo il nome di sostrati assoluti [5].

Non si dà una segmentazione all'infinito dell'esperienza. Il sostrato assoluto è ciò che è dato come direttamente e immediatamente es-plicabile, senza dunque che sia stato necessaria una es-plicazione e una sostratizzazione preliminare. Siamo così arrivati all'origine del processo d'es-plicazione e quindi del rapporto tra interi e parti, origine ove regnano in una maniera privilegiata, ancora una volta, gli oggetti individuali della percezione esterna:

assolutamente coglibili e perciò sostrati in senso eminente sono più di tutti gli oggetti individuali della percezione sensibile esterna, quindi i corpi. Qui sta uno dei primati decisivi della percezione esterna la quale dà in anticipo i sostrati più originari delle attività esperienti e poi predicativamente esplicati [6].

La genesi del tutto e delle parti prende corpo con la ricettività della coscienza in una forma di sintesi passiva contestuale al darsi sensibile.
Pertanto il sostrato assoluto può divenire esso stesso una determinazione allorché l'oggetto individuale è raccordato ad un intero plurale che è immediatamente dimostrato come unità e vale quindi come sostrato assoluto. Me il sostrato assoluto individuale, che vale qui come determinazione, non rimane tuttavia un sostrato assoluto, poiché esso è sempre afferrabile immediatamente e senza es-plicazione preliminare se richiede in forma d'affezione lo sguardo dell'Io. La conclusione allora è duplice: in primis, le determinazioni di un sostrato assoluto non sono necessariamente determinazioni assolute; in secundis, «i sostrati assoluti si dividono […] in sostrati che sono unità costitutive delle pluralità situate in pluralità e in sostrati che sono essi stessi pluralità» [7].
Il primo punto implica in modo particolare una differenziazione non formale, ma materiale tra le determinazioni assolute e le determinazioni relative, poiché non basta essere la determinazione di un sostrato assoluto per essere una determinazione assoluta. Ogni determinazione non è solo per questo una determinazione relativa. Un sostrato assoluto, e ciò è evidente per i sostrati assoluti individuali, possiede delle determinazioni assolute, le quali non si definiscono per la loro appartenenza sotto forma es-plicatrice al sostrato assoluto, ma per uno statuto materiale preciso. Husserl scrive:

ma è anche chiaro che ogni sostrato assoluto ha delle determinazioni che non sono sostrati assoluti. Le ultime unità, che nel mondo dei corpi sono le ultime unità corporee, hanno tutte delle determinazioni che sono originariamente esperibili solo come delle determinazioni, le quali perciò possono divenire dei sostrati soltanto relativi [8].

Le determinazioni assolute sono quelle che non possono essere colte come essenti che al prezzo di una sostratizzazione preliminare. D'altronde va notato che i sostrati assoluti plurali hanno anch'essi, oltre le determinazioni relative che sono i sostrati assoluti individuali connessi e le determinazioni relative proprie di queste, delle determinazioni che intervengono unicamente in quanto tali: «sono chiaramente quelle determinazioni che danno unità alla pluralità in quanto pluralità; sono le determinazioni di configurazione o di complessione nel senso più ampio» [9].
L'importante qui è che Husserl perviene a ritrovare le categoria di dipendenza e indipendenza: in tal senso i sostrati assoluti sono indipendenti, le determinazioni assolute dipendenti. I paragrafi da 30 a 32 di Esperienza e Giudizio affinano l'analisi. Il concetto di tutto è definito molto esattamente, in una comprensione stretta, come sostrato originario che «ha delle determinazioni (ciò che noi chiamiamo parti in senso lato) che sono sia indipendenti sia dipendenti» [10], anche se un concetto ancora più preciso di tutto comprenderà unicamente i sostrati assoluti segmentabili in parti indipendenti. La comprensione del rapporto del tutto alle sue parti implica allora la distinzione esplicita dei frammenti e dei momenti: «la forma “determinazione” non è essenziale ai frammenti e ai membri degli insiemi, la forma “sostrato” ai momenti. Quest'ultimi non ricevono la forma sostrato che per l'attività particolare che li rende indipendenti» [11]. Troviamo qui una legge materiale che s'impone nella genesi dell'oggettivazione alle avventure appercettive della coscienza. In effetti, l'indipendenza del frammento e la dipendenza del momento dipendono dalle origini costitutive contrastate nel corso dell'es-plicazione del sostrato-tutto. Le coscienza non sceglie arbitrariamente, né si abbandona ad un corso anarchico per trovarsi di fronte rispettivamente a dei frammenti e a dei momenti. Le parti generali (frammenti e momenti) sono prese nel corso dell'es-plicazione, ma questa, col suo dinamismo e le sue attese, non può nulla contro un evidenza ricettiva. In effetti, allorché nei due casi, dunque in ogni coincidenza es-plicativa, ovunque vi sia dissociazione d'una parte dal tutto, vi è qualche cosa che è dissociato, e qualche cosa che avanza, non dissociato dal tutto, la differenziazione dei modi di datità dell'es-plicato s'impone tuttavia alla coscienza es-plicitante, poiché il modo secondo il quale il residuo non es-plicato è presente alla coscienza è del tutto difforme nell'es-plicazione in frammenti rispetto all'es-plicazione in momenti dipendenti. Una volta è un colore che è colto sull'oggetto, per esempio il rosso del candeliere di rame; un'altra volta un frammento del candeliere, per esempio il suo piedistallo. Se un frammento s'è distaccato, il residuo non es-plicato gli resta esterno, e si rileva in rapporto ad esso, sebbene sia in connessione con quello; quanto al momento dipendente, nel nostro esempio, il colore rosso che ricopre per così dire la coppa intera, non lascia nulla che si rilevi in rapporto ad essa come esterno.
È nel seguito di queste righe che Husserl evoca la III Ricerca Logica, e a giusto titolo, perché qui noi ritroviamo la stessa tematica della fusione dei contenuti materiali che definiscono la dipendenza degli insiemi esplicati, alla quale s'accorda qui la coscienza come alla legge del proprio percorso appercettivo. Si tratta questa volta di un a priori soggettivo, perché è la costituzione dello strato iletico dell'esperienza della coscienza, nel registro della passività e della ricettività, che si rivela intimamente ordinato nell'a priorità della donazione. Se la considerazione è in fondo la medesima della III Ricerca Logica e anche, per quanto riguarda il contenuto, dei testi del 1894, si può senz'altro dire che la fenomenologia genetica ne dà ragione a partire dalla descrizione delle leggi implacabili, ma anche generatrici, del polo soggettivo dell'intenzionalità – la genesi dell'oggettivazione, a partire dagli strati passivi dell'esperienza, s'accorda a una legalità materiale che regge il rapporto es-plicativo del tutto con le parti.

III
Resta ora da porre la questione dello statuto esatto di questa legalità iletica del polo soggettivo in rapporto alla legalità formale di cui, non va assolutamente dimenticato, la genealogia rimane il motivo centrale di Esperienza e Giudizio. Tutta le genesi passiva e ricettiva esposta nella prima sezione di Esperienza e Giudizio tende a mostrare l'origine nella sfera ante-predicativa dell'esperienza delle categorie e dei concetti logici, di cui si servirà in ultimo la logica formale nella costituzione delle oggettività generali e nella istituzione delle forme valide del giudizio. Ora, questa nascita del logico sopravviene nel punto stesso della formazione di una legalità strettamente materiale quale quella della mereologia nella sua fondazione a priori soggettiva. Così, noi abbiamo già richiamato il fatto che i concetti di negazione e di possibilità trovano la loro origine, secondo Husserl, nell'ante-predicativo, più precisamente nella modalizzazione delle attese appercettive dell'interesse della conoscenza nascente – dunque nella modalizzazione in corso della tendenza all'oggettivazione. Abbiamo ricordato anche che questa modalizzazione implica il passaggio dalla presa semplice alla presa es-plicitante, cioè la messa in luce di determinazioni che partecipano alla forza affettiva dell'oggetto individuale in questione e che ne arricchiscono la conoscenza in quanto sostrato. Ma è soltanto nel modo ostacolato dell'es-plicazione e nella delusione delle attese che i concetti fondamentali della logica vedono la luce. L'es-plicazione stessa, in questa sintesi di coincidenza della determinazione e del sostrato, offre per così dire un suolo alle categoria logiche. A proposito dell'unità di coincidenza particolare della presa es-plicitante, Husserl afferma – e si tratta di passi celebri:

possiamo anche dire che devesi mostrare il processo di quella evidenza, nel quale viene originariamente intuito [erschaut] qualcosa come un oggetto-sostrato come tale, sostrato di qualcosa come delle determianzioni. Ci troviamo qui al punto d'origine della prima delle cosiddette categorie logiche. In senso proprio non si può parlare di categorie logiche se non nella sfera del giudizio predicativo, e cioè come di parti di determinazioni appartenenti necessariamente alla forma dei giudizi predicativi possibili. Ma tutte le categorie e le forme categoriali che ivi compaionosi fondano sulle sintesi antepredicative e hanno in queste la loro origine [12].

Che la genealogia della logica conduca a scoprire la sua fondazione fin nelle sintesi passive rappresenta un acquisizione propria della fenomenologia genetica. Ma proprio per questo la genealogia non conduce ad una riarticolazione della logica sulla mereologia – o, per dirlo nei termini della III Ricerca Logica, questa genealogia, che risale fino allo strato iletico dell'esperienza, non scopre l'origine dell'a priori oggettivo formale nell'a priori oggettivo materiale, e questo anche dopo il ricentramento dell'indagine sul sul polo soggettivo dell'intenzionalità. Si potrebbe dire che la mereologia, con ciò che essa implica per quanto riguarda la legalità della donazione stessa, costeggi l'emergenza delle categorie logiche in un'esperienza ante-predicativa dell'oggetto individuale, ma cercheremmo in vano qui un indice di gerarchizzazione tra i due tipi di generalità. Entrambi sembrano nascere immediatamente dalle sintesi della passività nell'orientazione-verso l'oggetto individuale. Senza alcun dubbio essi hanno una radice comune, ma manifestamente senza mai rischiare di confondersi o di riassorbirsi l'uno nell'altro. La salda distinzione tra generalità materiali e generalità formali sarà d'altronde ripetuta nello studio, a proposito della genesi attiva questa volta, della costituzione predicativa delle generalità. Il par 85 mira in effetti a richiamare la differenza importante tra generalità materiali e generalità formali. Quando Husserl sceglie l'esempio “rosso è differente da blu”, lo fa per lasciar vedere una giustapposizione delle due generalità nella predicazione stessa, piuttosto che per sorprendervi una disposizione graduale che sarebbe la conseguenza genetica di una gerarchizzazione nella genesi passiva:

in questa frase, accanto ai concetti materiali di rosso e di azzurro, si esprimono anche delle forme pure, nel parlare di diversità e nell'intera forma della proposizione, nella forma di soggetto, di predicato e di complemento. Concetti come eguaglianza, diversità, unità, molteplicità, insieme, intero, parti, oggetto, proprietà, in breve tutti i così detti concetti logici puri e tutti i concetti che si possono e si debbono esprimere nella molteplicità delle forme di contesti e, linguisticamente, delle forme di espressioni, sono puri concetti di forma, universalità formali, quando noi lasciamo indeterminato nelle proposizioni tutto ciò che è materiale [13].

Ma questo allora vuol dire che la fenomenologia genetica, se perviene a una fondazione soggettiva delle leggi mereologiche, sfocia in ogni caso su una medesima distinzione cardinale dei due a priori oggettivi, sintetico materiale e analitico formale, senza alcuna altra articolazione se non il riconoscimento di una origine comune nell'esperienza ante-predicativa? Ancora una volta ci sembra che la separazione netta dei due a priori nelle Ricerche Logiche non fosse sprovvista della promessa di una riarticolazione, una promessa che l'opera del 1901 non era in grado di assumersi in toto (e comunque non era suo compito). Che non ci sia articolazione nel polo oggettivo dell'intenzionalità ci sembra che debba essere dato per acquisito; ma tuttavia, la specificità genetica dell'analisi soggettiva propone un abbozzo di soluzione, confermando in tal modo che la fenomenologia genetica ha soprattutto per scopo di completare e ultimare, a partire dalla comprensione dell'a priori soggettivo, l'impresa fenomenologica nel suo complesso così come essa era stata iniziata con le Ricerche Logiche.
In effetti la genealogia della logica si trova presa nel movimento definito dal suo opposto: la teleologia che dirige l'a priori soggettivo. Lo sviluppo del processo intenzionale verso una oggettivazione che preparerebbe l'accesso a una comprensione riflessiva sempre più acuta del suolo e dell'orizzonte della coscienza, della sua necessità e della sua libertà, sviluppando un mondo della cultura inseparabile da una universalizzazione e da una formalizzazione della vita della coscienza e delle sue prestazioni signitive, mirando quindi alla costituzione di oggettività più alte, le più generali, costruisce una storia articolando le sue motivazioni. Allora la genesi è genesi di questo telos, e non ricerca di una origine tanto astratta quanto può esserlo una natura disumanizzata, “decoscienzizzata”. Tutto in Esperienza e Giudizio segna la pregnanza di questa prospettiva teleologica sulla genealogia stessa, sulla Rückfrage. Paradossalmente, l'archeologia è ricerca del telos. Così il disporsi graduale dei diversi livelli della genesi passiva testimonia l'esistenza di questo movimento ascendente che dirige in definitiva l'analisi genetica stessa. Husserl insiste a più riprese sul concetto di mescolanza, la Verflechtung dei diversi livelli, dei differenti strati o tappe della genesi nell'antipredicativo. È in effetti impossibile tracciare una frontiera precisa tra la passività o la ricettività, a tal punto che Husserl sottolinea il carattere fondamentalmente astratto di questa distinzione, giustificata da esigenze meramente metodologiche. Così, il trattamento delle strutture della passività pura, estremamente breve, lascia vedere che, allorché le sue strutture rappresentano il livello dell'origine e del fondamento primo degli atti di oggettivazione “a venire”, esse sono in ogni caso “avallate” dal livello ulteriore, quello della ricettività. Ma soprattutto la ricettività è presa essa stessa tra passività e attività. La ricettività, suggerisce Husserl più volte, è l'istanza della passività nell'attività. Se queste distinzioni sono necessarie nel dettaglio dell'analisi genetica, la loro articolazione ultima dimostra soprattutto che esse sono trascinate verso l'alto o, per dirlo diversamente, che esse prendono senso unicamente in forza della spontaneità che esse annunciano. Questa era d'altronde una delle tesi difese da Denise Souche-Dagues [14] nel suo studio su Lo sviluppo dell'intenzionalità nella fenomenologia husserliana. Così scriveva: «gli strattoni a cui è sottoposta la ricettività, la cui descrizione è incastrata tra quella della passività pura e quella della spontaneità, esprimono il carattere teleologico della genesi che è praticata» [15]. Non vi sono genealogia e archeologia senza una teleologia. Scoprire strutture preliminari alla produzione spontanea ha senso soltanto se queste strutture annunciano già – e si confondono con questo scopo – l'avvento dello spirito e delle sue produzioni di senso, e dunque se sono descritti, in questa prospettiva, livelli anteriori. È a questa sola condizione che questi ultimi sono suscettibili di rivelare qualcosa della motivazione profonda della coscienza fin nella costituzione delle oggettività superiori, ed è d'altronde a questa sola condizione che passività e attività possono realmente articolarsi. Così l'analisi genetica può sfociare su qualcos'altro rispetto alla messa in esergo delle sottostrutture in fin dei conti estranee a ciò che esse sostengono.
La genesi va delineata sempre muovendo dal telos a cui ci approssimiamo. L'equilibrio tra genealogia e teleologia è un equilibrio dinamico che struttura il movimento d'oggettivazione come una storia che giustifica in se stessa il ritorno verso la natura. Le tensione che domina dunque la fenomenologia genetica non è più quella dei due a priori oggettivi, ma piuttosto quella che mette in rapporto natura e storia. Ora, questa tensione segna, a dire il vero, la descrizione della presa es-plicitante stessa, vale a dire la comprensione della relazione tra tutto e parti. Cosa che appare chiaramente quando Husserl tenta di definire il sostrato assoluto. Questo qui, in quanto oggetto individuale, è compreso secondo la possibilità di coglierlo immediatamente, senza es-plicazione preliminare. Ma il par 29 di Esperienza e Giudizio sottolinea una nuova apprensione del concetto di sostrato assoluto. In effetti il mondo stesso appare come un sostrato assoluto: «ma il mondo è in questa prospettiva un sostrato assoluto, nel senso che in lui vi è tutto, e che lui stesso non è “in qualche cosa”, non è più una unità relativa in una pluralità avvolgente». Così l'assolutezza del sostrato come oggetto individuale finito, iscritto nel mondo, si trova “relativizzata” e questo primo strato assoluto perde, da questo punto di vista, il suo carattere di indipendenza:

ciò implica che tutto ciò che è mondano, sia come unità sia come pluralità reali [real], è in fin dei conti dipendente; solo il mondo è indipendente, solo esso è il sostrato assoluto nel senso stretto dell'indipendenza assoluta; la sua sussistenza non è dello stesso ordine di quella di un sostrato finito che sussiste in relazione a circostanze che gli sono estranee [16].

Il sostrato assoluto nel primo senso diviene quindi dipendente a causa della sua iscrizione nell'orizzonte del mondo da cui esso si distacca per venire a sollecitare affettivamente l'interesse della coscienza ricettiva. Il tutto finito si vede così lui stesso radicato in una genealogia più profonda. Ora, in questo stesso paragrafo, Husserl introduce anche un concetto più ampio di sostrato assoluto, evocando, come ciò che appare all'altra estremità dello sviluppo dell'appercezione intenzionale, il sostrato assoluto che «sarebbe quello del qualche cosa completamente indeterminato dal punto di vista logico, del “questo qua” individuale, dell'ultimo sostrato reico [17] di ogni attività logica» [18] – allorché tuttavia l'analisi di questo sostrato logicamente ultimo, e dunque sprovvisto di contenuto materiale, ritorna alla sezione consacrata al pensiero predicativo. Il sostrato assoluto individuale classico, nel ruolo di intero che esso gioca riguardo alle parti che sono le determinazioni indipendenti e dipendenti, è preso in una tensione genealogica-teleologica che lo sorpassa e che conduce il mondo alla sua formalizzazione. La III Ricerca Logica d'altronde evocava già, nel suo primo capitolo, questa tensione tra il tutto del fenomeno (ma che non è ancora chiamato mondo o orizzonte) e la prospettiva della teoria strettamente formale del tutto e delle parti (come testimoniato dall'importanza accordata al secondo capitolo). Ma le Ricerche Logiche non potevano né dovevano andare oltre in questa direzione, poiché esse non perseguivano un'analisi genetica e non disponevano in alcun modo di uno studio sufficientemente approfondito dell'a priori soggettivo.
Ma questa tensione, nella quale si iscrive il rapporto materiale tra intero e parti, deve portare il segno di questa scrittura della genesi a partire dal telos. Pertanto bisogna pensare, per riprendere i termini di Souche-Dagues, che «le strutture dell'es-plicazione possono fondare la possibilità della predicazione solo perché esse le prefigurano», vale a dire, per completare l'osservazione di Souche-Dagues, solo perché esse si rivelano a una coscienza fenomenologica che si rigira, che ritorna, dalla predicazione e dalle forme che l'animano, verso questa esperienza ante-predicativa che essa potrà infine comprendere. Così bisogna pensare che la legalità materiale del rapporto mereologico non può essere portato alla luce e riconosciuto che attraverso una coscienza che è sempre al di là, vale a dire che possiede sempre già una comprensione delle legalità formali più universali. Senza alcun dubbio bisogna avere le forme pure che raccordano le parti all'intero, le quali reggono anche la predicazione, per potere comprendere una legalità materiale. È proprio perché la coscienza, con la sua tendenza all'oggettivazione, mira teleologicamente al mondo delle forme che può esservi, per questa stessa coscienza, il riconoscimento di un a priori materiale. La teleologia, ritornando riflessivamente sui suoi passi, ripiega in qualche modo il formale sul materiale e, va detto, in tal modo lo completa.
La distinzione dei due a priori oggettivi doveva restare una distinzione cardinale della fenomenologia nascente, scrutante l'intenzionalità nel suo polo oggettivo. Tale è l'acquisizione necessaria e non oltrepassabile della III Ricerca Logica. Ma questa lasciava aperta la prospettiva d'una riarticolazione che tuttavia non poteva realizzarsi direttamente nel polo oggettivo dell'intenzionalità, col rischio senza dubbio di pervenire a una confusione dei due a priori. Se vi è articolazione, essa è indiretta dal punto di vista dell'oggettività stessa, poiché si realizza nell'emergenza d'un'altra tensione, quella che lega genealogia e teleologia, e ultimamente la natura e la storia, nella legalità dell'a priori soggettivo. È insomma la genesi delle coscienza sempre già in anticipo su se stessa lungo il cammino d'una oggettivazione superiore che reintegra nella sua organizzazione soggettiva continua i due mondi legali dell'oggettività.

1 MC, p. 101.
2 EG, § 21.
3 EG, p. 120-121.
4 EG, p. 143.
5 EG, p. 144.
6 Ibid.
7 EG, § 29.
8 EG, p. 145-146.
9 EG, § 29.
10 EG, § 29.
11 EG, § 30.
12 EG, p. 121.
13 EG, p. 383.384.
14 D. SOUCHE-DAGUES, Le developpement de l'intentionnalité dans la phénoménologie husserlienne, VRIN, Paris, 1993.
15 Ivi, p. 149.
16 EG, § 29.
17 Réique.
18 EG, § 29.